Attualità
Insegnare in Salento: quattro domande a quattro docenti
Saliamo in cattedra: parola a 4 insegnanti di altrettanti istituti della provincia

a cura di Lorenzo Zito
Riparte la scuola, con tutti i suoi annessi e connessi. A quattro insegnanti di quattro diversi istituti della provincia abbiamo posto quattro domande per fare il punto sull’essere docente nel 2023 nel Salento.
- Insegnare al sud VS insegnare al nord: cosa è meglio dove
- Stipendio docenti: da adeguare? Più consono ad una vita nel meridione?
- La sfida più grande (oggi) per un docente
- Da dove partire per migliorare il sistema scuola
MARIA SILVANA CIRIOLO, 62 anni
ITE De Viti De Marco di Casarano. Docente negli indirizzi alberghieri e tecnico economici con una lunga esperienza d’insegnamento in Umbria.
- Non ho riscontrato grandi diversità tra nord e sud: tanto le strutture quanto le risorse umane direi che sono comparabili. In un certo senso, anche le problematiche sono simili: dalle aule affollate ai problemi strutturali che il sistema scolastico dovrebbe risolvere
- Un adeguamento degli stipendi dei docenti non sarebbe peregrino: la percezione è quella di esser pagati meno del dovuto. È come se mancasse la consapevolezza dell’importanza e della difficoltà di questo mestiere. A chi dice “voi insegnanti avete tre mesi di vacanza” regalerei una settimana di insegnamento: aiuterebbe a capire che è un lavoro tanto bello quanto difficile, che non si improvvisa. In tutto ciò, certamente vivere al sud aiuta: in città il costo della vita e, soprattutto, l’affitto bruciano buona parte dello stipendio.
- La sfida più grande è coltivare lo sviluppo del senso critico negli studenti. I ragazzi di oggi sono molto più competenti di quanto non fossimo noi alla loro età, ma la continua esposizione ad informazioni di ogni genere provenienti da ogni canale spesso porta ad un apprendimento passivo. Dobbiamo ricondurre al recupero del valore positivo della lentezza e della riflessione nell’attività di discernimento, anche intraprendendo percorsi che facciano maneggiare il sapere, ad esempio attraverso l’esercizio di attività pratiche e manuali, o con l’esempio della ricerca posto in prima persona da noi docenti. I nostri giovani vanno allenati a compiere scelte difficili, scelte consapevoli: rifletto-penso-decido con la mia testa, non appiattendomi al mainstream.
- Favorirei quell’interdisciplinarietà che ha bisogno di diventare sistemica ed è invece ancora lasciata troppo alla spontanea iniziativa dei docenti. L’apprendimento dovrebbe essere strutturato. Le discipline dovrebbero parlarsi di più per lavorare con i ragazzi nella prospettiva di una didattica della complessità.
ERSILIA FERRARO, 39 anni
I.C. Via Apulia di Tricase. Insegnante di musica per la scuola secondaria di primo grado. Ha insegnato per 13 anni a Ferrara e per due nel Tarantino. Inizia il suo quarto anno a Tricase, uno dei quali alla “G. Pascoli”.
- Ho lavorato a lungo in centro città ma col tempo ho appreso che, più che l’essere al nord o al sud, la differenza la segnano i luoghi dell’insegnamento: lavorare nelle periferie o in aree con maggiori difficoltà porta con sé maggiori sfide, a prescindere dal fatto che ci si trovi o meno al Meridione. Con riferimento alla qualità del lavoro, invece, devo sottolineare che al sud molte regioni come la Puglia hanno di molto migliorato la didattica grazie all’utilizzo di fondi dell’Unione Europea, facendo dei passi avanti che in alcuni casi hanno portato anche ad un livello più alto di alcune aree del nord Italia.
- Ho un esempio diretto di cosa significhi vivere in Salento piuttosto che in Lombardia con lo stesso stipendio da docente: mio fratello vive a Milano e senza il supporto della famiglia per l’acquisto di una casa ad oggi spenderebbe una buona parte del suo salario per il mutuo.
- La sfida più importante è quella di potenziare le relazioni umane in risposta alla grande insicurezza e fragilità che c’è nelle nuove generazioni. I ragazzi, poi, vanno aiutati a capire che è importati accettarsi per ciò che si è: oggi l’imitazione dei modelli ci porta spesso a voler apparire sullo schermo per ciò che non ci appartiene.
- lavorerei allo sviluppo di competenze trasversali. La scuola è ancora troppo legata al nozionismo. Organizzare il tempo pieno con pomeriggi dedicati allo sviluppo laboratoriale ci permetterebbe di sviluppare le life skills uscendo dai confini delle singole discipline e portando le materie nella vita reale.
ANNA MARIA PISANELLO, 56 anni
IIS F. Bottazzi, sede di Racale. Ha insegnato a La Spezia prima di rientrare in provincia di Lecce rifacendo la “gavetta” nell’attesa di una collocazione stabile. È docente per l’istituto professionale di Racale da 18 anni.
- Nel mondo della scuola il sud vale il nord. Con la differenza che da noi la professione ha ben altro riconoscimento a livello sociale: nel nord Italia l’insegnamento è visto come un ripiego, più di una volta ricordo che mi fu chiesto “docente, come mai?!”.
- Con lo stipendio da insegnante al sud si vive in maniera decorosa. Cosa che al nord forse oggi non è più possibile, in particolar modo in determinate città, per via del costo della vita ma soprattutto, per chi emigrante o fuori sede, per il costo degli affitti, che si va a sommare anche ad un fattore non economico ma spesso poco tenuto in considerazione: quello dell’adattamento in una terra lontana da casa propria.
- La sfida più grande per noi docenti è quella di incuriosire i ragazzi e catturare la loro attenzione fuori dal mondo dei social. Far capire loro l’importanza delle conoscenze e trasmettere l’idea, anche attraverso attività pratiche, che lo studio non resta una pratica astratta ma è un elemento fondamentale per far strada nella vita e per centrare i propri obiettivi
- Mi avvicinerei al modello europeo o americano per fare della scuola un punto di riferimento per i giovani anche nel pomeriggio o nel tempo libero. La scuola dovrebbe diventare un catalizzatore sano, quel centro di connessione del territorio dove i ragazzi possono trovare anche sport, svago, socialità in un luogo sicuro.
GIOVANNA FERRARO, 62 anni
I.C.S. Salve Morciano Patù. Dopo un’infanzia in Svizzera, ha insegnato per 30 anni, dapprima nel Brindisino per poi arrivare in provincia di Lecce. Oggi è docente della scuola primaria a Morciano.
- In ambito scolastico il divario nord/sud pesa meno che in altri settori. Sia a livello strutturale che sistemico credo che la scuola non registri grandi differenze a seconda della latitudine. Al sud credo che le famiglie ripongano più attenzione sul lavoro e sull’importanza della scuola (anche se recentemente, in alcuni genitori più giovani, questo si sta perdendo). La necessità di spostarsi lontano da casa per insegnare, ancora oggi, è data dalle contingenze più che da scelte o necessità personali. In merito a questo, penso che andrebbe incentivata la possibilità per i nostri giovani di restare sul territorio a far gavetta ed insegnare, senza necessariamente doversi spostare.
- Con lo stipendio da docente è senza dubbio più facile vivere al sud. Nel nostro contesto, in particolare, essere vicini al proprio paese significa poter godere di una casa di proprietà, aggirando l’ostacolo principale della vita fuori sede: il canone di locazione. Al netto di ciò, trovo che lo stipendio da insegnante sia carente. Anche qui, come già accade in quasi tutti gli altri campi, sarebbe ora di adeguarsi agli standard europei.
- La sfida più grande è riuscire a lavorare sui percorsi individualizzati. Farlo adeguandoli al singolo studente e traducendoli effettivamente in pratica, riuscendo ad uscire dal semplice schema teorico che ci viene indicato.
- partirei da due aspetti che andrebbero migliorati con grande urgenza. Andrebbe implementato il supporto per le categorie di alunni BES e DSA (Bisogni Educativi Speciali e Disturbi dell’Apprendimento) ed aumentata la presenza di mediatori per gli alunni stranieri: la carenza (o assenza) di quest’ultima figura si traduce spesso in una palla al piede per i ragazzi non di nazionalità italiana.
Appuntamenti
Il mondo del lavoro, la cura, le discriminazioni
A scuola con la consigliera di parità della Provincia di Lecce, Antonella Pappadà, per imparare a riconoscere e affrontare le discriminazioni nel mondo del lavoro. Venerdì 11 aprile appuntamento al Liceo scientifico Da Vinci, a Maglie

Il mondo del lavoro, la cura, le discriminazioni sono i temi al centro del nuovo ciclo di incontri formativi organizzati nell’ambito del progetto “Parità di genere nel lavoro: donne, lavoro e inclusione”, ideato e realizzato dalla consigliera di parità della Provincia di Lecce.
Ad affrontarli, tra i banchi di scuola, è la stessa consigliera Antonella Pappadà che, proprio in virtù del suo ruolo di sentinella del territorio, ha scelto di confrontarsi direttamente con le studentesse e gli studenti delle quattro scuole superiori coinvolte, in via sperimentale, nel percorso progettuale: Meucci di Casarano, Olivetti di Lecce, Giannelli di Parabita e Da Vinci di Maglie.
«Credo che la migliore forma di prevenzione venga dalla conoscenza. Ecco perché», spiega Antonella Pappadà, consigliera di parità provinciale, «ho ritenuto necessario affrontare questi temi con le ragazze e i ragazzi che saranno le lavoratrici e i lavoratori di domani. È fondamentale sapere che possono esserci problematiche, come le discriminazioni sul posto lavoro, e quali sono i riferimenti e gli strumenti per affrontarle e rimuoverle. Proprio la consigliera di Parità della Provincia ha, tra gli altri, questo compito e può assistere chi ne è vittima».
Il terzo ciclo di incontri formativi previsto dal progetto è partito il 14 marzo al Meucci di Casarano ed è proseguito il 28 marzo all’Olivetti di Lecce e il 3 aprile al Giannelli di Parabita, dove, insieme alla consigliera Pappadà, è intervenuta come testimonial anche Stefania Monosi, presidente del Consiglio notarile di Lecce.
L’ultimo appuntamento è in programma venerdì 11 aprile, nel Liceo scientifico Da Vinci, a Maglie.
Il Progetto “Parità di genere nel lavoro: donne, lavoro e inclusione” è un percorso triennale di formazione e sensibilizzazione sul tema della parità di genere nel lavoro, strutturato in tre moduli, uno per ciascun anno scolastico, inseriti tra le attività dei PCTO (Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento) delle quattro scuole superiori coinvolte.
Tra gli obiettivi generali: imparare a riconoscere stereotipi e pregiudizi, diffondere l’educazione e la formazione alla parità di genere nel lavoro, favorire la conoscenza e la possibilità sia per le donne che per gli uomini di accedere ad un lavoro dignitoso e, ancora, promuovere una cultura di parità di genere per sradicare le iniquità anche nei confronti delle persone con disabilità.
Il primo modulo intitolato “Oltre gli stereotipi”, rivolto alle classi del terzo anno, è stato avviato a dicembre con il ciclo di incontri “Stereotipi e pregiudizi: che cosa sono e quali sono quelli più diffusi”,affrontato dalle esperte di politiche di genere Michela Di Ciommo ed Elisa Rizzello.
Il secondo ciclo “La scienza ha un genere?” è stato sviluppato da studiose e affermate professioniste, tra cui, Cristina Mangia, ricercatrice dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR, Elisabetta De Marco, docente universitaria e ricercatrice nel settore scientifico disciplinare di Pedagogia sperimentale, Maria Antonietta Aiello, pro rettrice di UniSalento e docente ordinario di Tecnica delle Costruzioni, Serena Arima, docente di Statistica presso UniSalento, Fabiana De Santis, manager e ingegnera gestionale specializzata in sviluppo aziendale e gestione dell’innovazione, Carola Esposito Corcione, professore associato in Sistemi, metodi e tecnologia dell’ingegneria chimica e di processo presso UniSalento e socia fondatrice della sturtup Womat.
Il percorso progettuale si concluderà con l’ultimo ciclo di incontri sul tema “Il rispetto e la violenza di genere: quale percezione nelle/negli adolescenti”.
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Attualità
Da giugno niente più treni diretti da Roma alla Puglia!
Tornare in Salento in treno questa estate rischia di diventare un vero incubo per lavoratori, studenti fuori sede e turisti. L’on. Andrea Caroppo vicepresidente della Commissione Trasporti alla Camera, scrive all’Amministratore Delegato di Trenitalia, «per conoscere le ragioni di questa inspiegabile programmazione e, soprattutto, per chiedere l’immediato ripristino dei treni diretti verso la Puglia»

Non c’è niente da fare, vogliono relegarci in un angolo!
Non bastassero l’isolamento fisiologico, che è una questione geografica, e quello strutturale, frutto di anni di scarsa attenzione al sud e poche lucidità e lungimiranza da parte dei nostri politici e rappresentanti istituzionali, arriva anche la notizia che, da metà giugno, il Salento (come del resto tutta la Puglia) non sarà più raggiungibile dalla Capitale con treni diretti.
A lanciare l’allarme il deputato salentino e vicepresidente della Commissione Trasporti alla Camera, Andrea Caroppo: «Raggiungere la Puglia in treno questa estate rischia di diventare un vero incubo per lavoratori, studenti fuori sede e turisti».
Il perché è presto detto: «Dal 10 giugno non è previsto, al momento, nessun treno diretto tra Roma e la Puglia e le uniche offerte disponibili prevedono più cambi e alcune sfiorano addirittura le 12 ore. In pratica, si impiegherà meno tempo per arrivare a Roma da New York o Pechino che da Roma a Lecce».
Per l’on. Caroppo «è una situazione inaccettabile, destinata a creare forti disagi ai pugliesi che vogliono raggiungere la Capitale o rientrare in Puglia e che rischia di mettere in ginocchio la stagione turistica pugliese, scoraggiando i visitatori, soprattutto stranieri, a programmare un viaggio nella nostra regione».
Per questo motivo il vicepresidente della Commissione Trasporti alla Camera ha inviato una richiesta formale di chiarimento all’Amministratore Delegato di Trenitalia, Ing. Gianpiero Strisciuglio, «per conoscere le ragioni di questa inspiegabile programmazione e, soprattutto, per chiedere l’immediato ripristino dei treni diretti che collegano la Puglia a Roma».
Attualità
L’Inps smantella l’assistenza domiciliare
Con il nuovo Bando HCP, a rischio servizi fondamentali per persone disabili e migliaia di posti di lavoro. Il documento congiunto di Unci e Fesica Confsal: «Decisione gravissima, irresponsabile ed inaccettabile. Proveremo a fermare questa assurda deriva intervenendo nelle sedi istituzionali di tutte le Regioni»

Non arrivano buone notizie dal bando INPS 2025-2028.
«L’Inps smantella l’offerta di servizi socio-assistenziali domiciliari del progetto Home Care Premium e la rete territoriale che l’ha resa possibile per oltre 15 anni, servizi destinati a dipendenti, pensionati e loro familiari non autosufficienti, di fasce a basso reddito, escludendo le cooperative sociali e penalizzando gli utenti in tutta Italia».
È l’allarme lanciato all’unisono dal presidente nazionale dell’Unci (Unione nazionale cooperative italiane) Andrea Amico, dalla vicepresidente Maria Pia Di Zitti, dal presidente nazionale dell’Ancos (Associazione nazionale cooperative sociali) Paolo Ragusa, dal dirigente nazionale Unc, Gennaro Scognamiglio, dal segretario generale del sindacato Fesica Confsal Bruno Mariani, e dal vice segretario generale Alfredo Mancini.
«Il nuovo bando 2025-2028», sottolineano i rappresentanti della cooperazione e dei lavoratori, «con le novità introdotte, mette in crisi un modello positivo costruito nel tempo, che è stato in grado di rispondere alle esigenze delle persone con disabilità e delle loro famiglie, senza alcuna motivazione plausibile».
Il nuovo programma HCP, infatti, non prevede più prestazioni integrative fondamentali, come l’assistenza domiciliare svolta da operatori socio-sanitari (OSS), i servizi di sollievo per i caregiver familiari (le persone che si prendono cura di un proprio congiunto), l’accesso a centri diurni e strutture extra-domiciliari, nonché i servizi di trasporto assistito e la fornitura di ausili per l’autonomia.
Tutti servizi che finora erano stati garantiti e la cui improvvisa cancellazione creerà notevoli disagi tra i cittadini assistiti, minandone in ogni caso la qualità della vita.
«Una decisione gravissima», secondo Unci, Ancos e Fesica Confsal, «che giudichiamo irresponsabile ed inaccettabile, insieme alla pregiudiziale esclusione, assolutamente illegittima, di un soggetto cardine per la realizzazione dei servizi, quale è la cooperazione sociale, con le numerose imprese mutualistiche accreditate coinvolte, con migliaia di operatori qualificati, che in questi anni hanno garantito le prestazioni, un livello qualitativo alto e la continuità assistenziale».
Così, attraverso una decisione burocratica, calata dall’alto dall’Inps, senza tener conto degli effetti che avrebbe determinato, «si smantella nei fatti un importante progetto che riguarda la quotidianità e la vivibilità di tantissime persone, andando contro i compiti istituzionali dell’ente, e si colpiscono diverse migliaia di lavoratori, che rischiano concretamente di perdere il proprio posto di lavoro, già dal prossimo mese di luglio».
Un vero e proprio schiaffo all’idea di welfare integrato che faticosamente è stata costruita sul campo da organizzazioni non lucrative e dalle istituzioni del territorio preposte.
«Riteniamo quindi necessario», concludono Unci, Ancos e Fesica Confsal, «fermare questa assurda deriva, per rimettere la questione sul giusto binario, assicurando ai cittadini utenti i servizi necessari e salvaguardando il lavoro di cooperative sociali e operatori. A questo scopo interverremo nelle sedi istituzionali di tutte le Regioni».
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