Attualità
Mons. Angiuli: “Occupazione priorità per le famiglie”
Lavoro, declino economico, crisi della famiglia: il vescovo della Diocesi di Ugento-S.M.Leuca interviene su temi di scottante attualità
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ESCLUSIVA
Matrimoni cristiani.
“È vero, sono sempre di meno, ma più convinti sul piano dei contenuti spirituali, morali e culturali”
Una buona pastorale giovanile.
“Può contribuire alla formazione di giovani forti, solidali e capaci di amare. E questa è una condizione fondamentale per far crescere famiglie solide, fedeli e felici”
Cammini di formazione per nubendi.
“Nella Diocesi di Ugento-S. M. di Leuca, in questi anni, abbiamo sperimentato diverse modalità e affinato strategie per coinvolgere sempre di più i giovani in un cammino di maturazione alla vita matrimoniale”
Famiglia bistrattata.
“Il nostro lavoro pastorale, purtroppo, non trova sostegno nella cultura dominante e nelle scelte politiche degli ultimi decenni, dove la famiglia cristiana viene etichettata come “tradizionale” e quindi vecchia e inutile”.
Anche una pietra di “scarto” può diventare pietra angolare. Le istituzioni politiche si diano da fare per creare occupazione.
“Il lavoro è necessario non solo come mezzo di sussistenza ma anche come condizione imprescindibile per conferire dignità alla persona umana”
Dalle statistiche vediamo che sono sempre più ridotti i matrimoni cristiani. Quali prospettive lei vede per la pastorale familiare? Pensa possa esserci un nesso con la pastorale giovanile?
“Da diversi anni le statistiche registrano un calo dei matrimoni celebrati in Chiesa. Questo trend è presente persino nei nostri piccoli centri. Oltre al calo dei matrimoni c’è anche uno spaventoso calo delle nascite. I due fenomeni sono strettamente collegati. Le cause sono molteplici: il ritmo della vita attuale, lo stress, l’organizzazione sociale e lavorativa, la precarietà volubile dei desideri e delle emozioni, la mancanza di politiche familiari e lo scarso riconoscimento del valore sociale dell’impegno educativo dei genitori. In realtà, il nodo fondamentale risiede in un’esasperata cultura individualistica del possesso e del godimento. Questo genera la fuga dagli impegni e dai vincoli, e accresce il numero di persone che decidono di vivere sole o che convivono. Alla base vi è la confusione circa il modo di comprendere la libertà. Spesso essa è intesa «come se al di là degli individui non ci fossero verità, valori, principi che ci orientino, come se tutto fosse uguale e si dovesse permettere qualsiasi cosa. In tale contesto, l’ideale matrimoniale, con un impegno di esclusività e di stabilità, finisce per essere distrutto dalle convenienze contingenti o dai capricci della sensibilità» (Francesco, Amoris laetitia, 34). Occorre recuperare la dimensione familiare della comunità cristiana. Come ha detto Papa Francesco nell’esortazione apostolica Amoris Laetitia, essa dev’essere più capace di accogliere, accompagnare, discernere e integrare. In questa prospettiva, bisogna registrare che il calo numerico dei matrimoni religiosi, è compensato da una maggiore sensibilità e responsabilità nelle coppie giovani che frequentano i corsi di preparazione alla vita matrimoniale. Potremmo dire: sono sempre di meno, ma più convinti sul piano dei contenuti spirituali, morali e culturali. In questi anni c’è stato uno sviluppo in crescendo dei percorsi di preparazione al matrimonio, sia riguardo al metodo sia riguardo ai contenuti. Certo, non si può pensare che un “corso” risolva tutti i problemi, anzi talora ne apre di nuovi nel dialogo interno alla coppia. Ciò che risulta chiaro è la necessità di una più attenta educazione alla vita affettiva e all’amore. È fuor di dubbio che la pastorale familiare e quella giovanile debbano lavorare insieme. Al matrimonio bisogna far precedere una formazione al vero senso dell’affettività e dell’amore che parta già dall’età dell’adolescenza. Pastorale giovanile e familiare non possono camminare per vie parallele. Una buona pastorale giovanile può contribuire alla formazione di giovani forti, solidali e capaci di amare. E questa è una condizione fondamentale per far crescere famiglie solide, fedeli e felici. Nel piano pastorale della nostra Chiesa diocesana ho indicato una nuova modalità dell’azione pastorale delle comunità parrocchiali mettendo al centro la famiglia e i giovani, ripartendo proprio dalla preparazione dei giovani alla vita matrimoniale”.
Papa Francesco ha detto: «Sposarsi non è celebrare il matrimonio, ma fare cammino da io a noi».
“Il Pontefice intende dire che non si può ridurre il matrimonio solo all’aspetto rituale senza tener conto del cammino personale che i due sposi sono chiamati a compiere. La celebrazione del matrimonio è il punto di arrivo di un cammino di crescita degli sposi; una crescita che è frutto di reciproca conoscenza, di una più profonda relazione personale, di un’accettazione della diversità di caratteri, di pensiero di aspirazioni. Si tratta di compiere il passaggio da una visione individuale del loro legame matrimoniale a una relazione più comunionale, realizzando un «cammino “dall’io al noi”». Sposarsi nel Signore, impegna la coppia a vivere una relazione di amore che tende al dono di sé, uscendo dal proprio egoismo, interesse e tornaconto per incontrare il “tu” dell’altro e costruire, giorno per giorno, il “noi” dell’amore che è unità, reciprocità, condivisione, fedeltà. Amare, diceva don Tonino Bello, è voce del verbo morire… morire a se stessi, al proprio io, al proprio orgoglio perché l’altro/a viva. Passare dall’egocentrismo all’altruismo è segno di grande maturità, ed è condizione imprescindibile per una vita di relazione bella, realizzata, felice. D’altra parte, non basta nemmeno il rapporto di amore tra i due sposi. La vita matrimoniale, infatti, diventa più stabile «quando l’amore assume la modalità dell’istituzione matrimoniale. L’unione trova in tale istituzione il modo di incanalare la sua stabilità e la sua crescita reale e concreta. È vero che l’amore è molto di più di un consenso esterno o di una forma di contratto matrimoniale, ma è altrettanto certo che la decisione di dare al matrimonio una configurazione visibile nella società con determinati impegni, manifesta la sua rilevanza: mostra la serietà dell’identificazione con l’altro, indica un superamento dell’individualismo adolescenziale, ed esprime la ferma decisione di appartenersi l’uno all’altro» (Francesco, Amoris laetitia,131). In tal modo, si esprime la decisione reale ed effettiva di trasformare due strade in un’unica via. Quando si ama veramente, si tende a manifestare agli altri il proprio amore. L’amore sancito con un patto matrimoniale è manifestazione di un “sì” che si offre all’altro senza riserve e senza restrizioni”.
Sempre Papa Francesco, riferendosi all’adulterio, ha affermato: «Non si può amare solo finché conviene».
“L’amore non può essere frutto di una scelta di convenienza, ma espressione del dono di sé. Non bisogna coltivare l’idea di un amore idilliaco e nemmeno lasciarsi prendere da una visione consumistica. Il matrimonio è un patto d’amore e va oltre ogni moda passeggera. La sua essenza è radicata nella natura stessa della persona umana e del suo carattere sociale. Implica una serie di obblighi, che scaturiscono dall’amore stesso e si coltivano attraverso il dialogo, la capacità di ascoltare l’altro con pazienza e attenzione, l’abitudine a dare valore all’altro cercando di mettersi nei suoi panni e di interpretare la profondità del suo cuore, individuando ciò che lo appassiona. La relazione d’amore nel matrimonio matura quando i due coniugi non si rinchiudono nelle proprie idee, e mostrano flessibilità nel modificare o completare le proprie opinioni. Alimentando i gesti di attenzione per l’altro e le dimostrazioni di affetto i coniugi rendono più stabile il loro rapporto. La ricchezza interiore, poi, si alimenta nella lettura, nella riflessione personale, nella preghiera e nell’apertura alla società”.
“Ritengo che anche oggi si può riconoscere la bellezza di una relazione duratura. Lo attestano quelle coppie che, nonostante le difficoltà che devono affrontare, offrono un bell’esempio di vita matrimoniale. Perché questo avvenga bisogna evitare di cadere nella “cultura del provvisorio e dello scarto”. Mi riferisco alla rapidità con la quale si passa da una relazione affettiva ad un’altra. Alcuni pensano che l’amore, come nelle reti sociali, si possa connettere o disconnettere a proprio piacimento. Talvolta, trasferiscono alle relazioni affettive quello che accade con gli oggetti e con l’ambiente seguendo la logica dell’usa e getta. Il narcisismo rende le persone incapaci di guardare al di là di sé stesse, dei propri desideri e necessità. Il sacramento del matrimonio non è una convenzione sociale, un rito vuoto o il mero segno esterno di un impegno. Il sacramento è un dono e una vocazione; una risposta alla specifica chiamata a vivere l’amore coniugale come segno imperfetto dell’amore tra Cristo e la Chiesa. Pertanto, la decisione di sposarsi e di formare una famiglia dev’essere frutto di un discernimento vocazionale. La Chiesa non può rinunciare a proporre questa forma esigente di legame coniugale. Se lo facesse priverebbe la società del richiamo a valori autentici che non si possono disconoscere. Essa, però, deve proporre questo annuncio non con la denuncia retorica dei mali attuali e nemmeno soltanto richiamando le norme e le regole. Deve, invece, presentare le ragioni e le motivazioni per optare in favore del matrimonio e della famiglia così come è stabilito nel piano originario di Dio”.
“Dove c’è violenza io non sposo. Quando si vede che il rapporto è di soggezione mi fermo: si vede da come il fidanzato parla alla fidanzata, la rimprovera”. È il pensiero di monsignor Simone Giusti, vescovo di Livorno che ammette di non aver unito in matrimonio coppie proprio per questo motivo e spiega che la Chiesa impone un anno di preparazione al sacramento per educare all’affettività. Lei come si comporterebbe in casi simili?
“Allo stesso modo. Un vero matrimonio si fonda sulla libertà del consenso e soprattutto sull’amore autentico, quello che cerca la felicità dell’altro e la realizzazione di un progetto comune. Senza questi presupposti non si dovrebbe procedere alla celebrazione. La violenza è un’esperienza sconvolgente per qualsiasi essere umano. Lascia sempre tracce difficili e, in alcuni casi, impossibili da cancellare. Ancor di più se viene perpetuata da qualcuno che si ama. La violenza è segno di mancanza di amore. Per questo la preparazione al matrimonio deve consentire ai due sposi la possibilità, attraverso il dialogo, di riconoscere incompatibilità e rischi per non esporli a un prevedibile fallimento che potrà avere conseguenze molto dolorose. Bisogna aiutare e stimolare i fidanzati a esprimere ciò che ognuno si aspetta dal matrimonio, ciò che l’uno desidera dall’altra, il tipo di vita in comune che vorrebbero progettare. Queste conversazioni possono aiutare a vedere con realismo i punti di convergenza e di differenza. La sola attrazione reciproca non è sufficiente a sostenere l’unione. Per questo «non si deve mai incoraggiare una decisione di contrarre matrimonio se non si sono approfondite le motivazioni che conferiscano a quel patto possibilità reali di stabilità» (Francesco, Amoris laetitia, 209). Da più di quarant’anni, la Chiesa propone cammini di formazione per i nubendi. In questi anni, nella nostra Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca, abbiamo sperimentato diverse modalità e abbiamo affinato strategie per coinvolgere sempre di più i giovani in un cammino di maturazione alla vita matrimoniale. Essi non sono aiutati dal sistema pubblico a formarsi una famiglia. Il nostro lavoro pastorale, purtroppo, non trova sostegno nella cultura dominante e nelle scelte politiche di questi ultimi decenni, dove la famiglia cristiana viene etichettata come “tradizionale” e quindi vecchia e inutile”.
Tra le preoccupazioni dei futuri sposi anche quelle di eventi inattesi, difficili da fronteggiare: come la disabilità di un figlio o la malattia del compagno. Lei cosa dice alle coppie che esternano tali preoccupazioni?
“Queste situazioni sono già contemplate nella formula del consenso matrimoniale: «Prendo te nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia». Bisogna affrontare la vita con realismo. La storia di una famiglia è solcata da crisi di ogni genere, che sono anche parte della sua drammatica bellezza. Ogni crisi implica un apprendistato che permette di incrementare l’intensità della vita condivisa, o almeno di trovare un nuovo senso all’esperienza matrimoniale. Indubbiamente un figlio con una patologia cronica è per i genitori e per tutta la famiglia un’esperienza carica di dolore. In queste situazione è bene accompagnare i genitori, in modo attento e discreto, facendo capire che ogni vita umana è dono di Dio, ed è perciò sacra, inviolabile. Vale per se stessa e non perché è sana, forte, efficiente e produttiva. Anche una pietra di “scarto” può diventare una pietra “angolare”! Ogni crisi nasconde una buona notizia che occorre saper ascoltare affinando l’udito del cuore. Da parte mia, mi metterei in ascolto dei loro problemi, delle loro attese e anche delle loro paure. Certo, nessuno ha le ricette pronte per fronteggiare le vicissitudini della vita. Nel disorientamento per la nascita di un bambino con disabilità, occorre aiutare i genitori a sostenersi reciprocamente e a condividere il loro dolore, dando ad esso un tempo e uno spazio in cui possa essere elaborato. Lentamente il superamento dello shock li aiuterà a costruirsi un’immagine più realistica del proprio bambino, delle sue risorse e dei suoi limiti in modo da mettere in atto un progetto riabilitativo del figlio, in cui essi stessi si sentano protagonisti. Da parte mia, la cosa che sento di poter dire è che l’amore sa trovare la soluzione giusta per ogni circostanza della vita. L’amore, inteso come dono di sé, è così forte che diventa fede e affidamento. Di valido aiuto è il rapporto e il dialogo con coniugi esperti e formati che possano accompagnare le coppie di giovani sposi in modo che le crisi non li spaventino né li portino a prendere decisioni affrettate”.
Divorziati, risposati, conviventi e omosessuali: come è cambiata, se è cambiata, negli anni la posizione della chiesa?
“Dal punto di vista dottrinale e morale l’insegnamento della Chiesa, radicato nel messaggio evangelico, non è cambiato né può cambiare. Lo stimolo che Papa Francesco sta dando alla Chiesa impegna tutti all’accoglienza e all’accompagnamento. D’altra parte, bisogna riconoscere che le parole dell’attuale Papa non sono del tutto nuove, basta leggere alcuni documenti o alcune catechesi di Giovanni Paolo II sul matrimonio e sulla famiglia. La dottrina della Chiesa cammina secondo lo schema dello sviluppo nella continuità. Riguardo alle persone omosessuali, poi, molti non conoscono il bellissimo documento che la Congregazione della Dottrina della Fede ha pubblicato a metà degli anni ’80: “Pur sempre nostri figli”, il cui titolo è già una bella attestazione di comprensione e di accoglienza, senza negare la verità sull’uomo e la sua identità. Pertanto dal punto di vista pastorale, occorre sviluppare uno stile di vicinanza e di prossimità. Le due parole d’ordine sono: discernimento e accompagnamento. In questo senso, bisogna evitare ogni linguaggio e atteggiamento discriminatorio e promuovere la partecipazione di tutti alla vita della comunità”.
Lei una volta ci disse: “Meglio un matrimonio civile che una convivenza!”…
“Confermo quanto detto in passato. L’ideale sarebbe di arrivare alla celebrazione del sacramento che valorizza il vissuto di fede degli sposi. Ma se ciò non è possibile, il matrimonio civile assicura almeno l’impegno dell’unione e della stabilità che fonda una famiglia. È sempre meglio per tutti, anche per i figli, dare una stabilità anche giuridica, oltre che affettiva e morale, all’unione coniugale e alla famiglia. La semplice convivenza spesso viene scelta a causa della mentalità generale contraria agli aspetti istituzionali e agli impegni definitivi, ma anche per l’attesa di una sicurezza esistenziale attraverso un lavoro stabile e salario fisso. Nella mia diocesi vi sono situazioni differenti. In alcuni casi, vi sono coppie che, per una forma di acquiescenza, convivono da molti anni e fanno difficoltà a regolarizzare la loro unione, anche con la celebrazione del sacramento del matrimonio. In altri casi, cresce il numero di coloro che, dopo aver vissuto insieme per lungo tempo, chiedono la celebrazione del matrimonio in Chiesa”.
Qual è la missione che la Chiesa deve avere in un territorio in forte ritardo di sviluppo e con gravi carenze di occupazione come il nostro?
“Ribadisco la necessità di un impegno incessante delle istituzioni politiche affinché si creino tutte le condizioni atte a favorire la piena occupazione. Il lavoro è necessario non solo come mezzo di sussistenza ma anche come condizione imprescindibile per conferire dignità alla persona umana. La nostra Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca sente molto il problema della mancanza del lavoro e della precarietà di alcune situazioni lavorative. E per questo, già da tempo, abbiamo messo in campo delle iniziative per offrire soluzioni di sostegno e di aiuto ai giovani e alle famiglie in difficoltà. Penso al Banco delle opere di carità, al prestito della speranza, al micro-credito che la Fondazione “Mons. De Grisantis” porta avanti da più di dieci anni. Sono stati molti coloro che nei nostri paesi hanno trovato in queste iniziative un valido sostegno per il loro progetto di vita. Certamente è una goccia nel mare dei problemi della società odierna. Dovremmo fare di più. Occorre però sottolineare che il compito della Chiesa è soprattutto educativo. Ed è appunto quanto cerchiamo di fare attraverso una rete diffusa sul territorio: le parrocchie e le altre esperienze associative di tipo caritativo e sociale”.
In questa fase di declino economico, di mancanza di prospettiva, ci sembra che le famiglie si stiano riavvicinando alla Chiesa…
“La situazione è ambivalente. In alcuni casi si constata la perdita dell’ambiente di fede che esisteva nella famiglia. La crisi odierna è veramente profonda perché ha toccato la struttura portante della persona umana: la sua coscienza. È una crisi etica e spirituale. A stento si parla di religione, ed è sempre più raro che la famiglia si riunisca per condividere la sua fede o per pregare. Si può dire che la famiglia sta cessando di essere una «scuola di fede». Credo, però, che le persone si stiano già accorgendo e si accorgeranno sempre di più che la Chiesa, nonostante le fragilità e i peccati degli uomini e delle donne che la formano, abbia ancora la forza di educare gli uomini a diventare persone vere e libere. Questa forza viene da Dio non dagli uomini. Nel nostro territorio, la Chiesa è considerata ancora un punto di riferimento per le famiglie e i ragazzi, grazie anche ai tanti oratori presenti nelle parrocchie. La fede annunciata dalla Chiesa dà una prospettiva di senso alla vita che è fondamentale per tutti. Vi sono, infatti, famiglie che mantengono viva la loro identità cristiana e genitori che hanno una spiccata sensibilità religiosa e si preoccupano dell’educazione cristiana dei loro figli. La fede continua ad essere per loro un fattore importante nella organizzazione della loro vita familiare. Occorre che le nostre comunità parrocchiali diventino sempre più “famiglia di famiglie”. In un mio documento pastorale ho scritto che «il rapporto tra famiglia e comunità cristiana non può essere di estraneità, di delega o di autosufficienza, ma di circolarità dinamica: la famiglia deve sentirsi strutturalmente legata alla comunità parrocchiale e questa deve necessariamente essere attenta a sviluppare il ministero proprio della famiglia; la parrocchia deve valorizzare la famiglia come l’ambito ecclesiale privilegiato e insostituibile per l’educazione cristiana, la famiglia deve scoprire la sua costitutiva funzione ecclesiale e ministeriale evitando ogni forma di delega e disimpegno» (V. Angiuli, Educare a una forma di vita meravigliosa, 102). È necessario incrementare l’impegno dei sacerdoti e dei fedeli laici nei riguardi delle famiglie attraverso forme di attenzione e di accompagnamento spirituale”.
Giuseppe Cerfeda
Attualità
Cassa integrazione: c’è luce in fondo al tunnel?
Primato nero per il Leccese sugli ammortizzatori sociali: il punto sulla flessione in atto con Mario Vadrucci (Camera di Commercio), Gabriele Abaterusso (Sud Salento srl) ed Antonio Bramato (OLC)
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di Lorenzo Zito
Un campanello d’allarme suona forte in provincia di Lecce nel mondo del lavoro e della produzione. Il Salento ha chiuso il 2024 con un primato da paura: siamo primi in Italia per aumento di ore di ammortizzatori sociali richieste rispetto all’anno precedente. Lecce (e provincia) segnano un +275% nel periodo gennaio-settembre 2024. La più vicina, Biella, si ferma ad un +188.
Il totale di ore autorizzate nel Leccese ammonta ad oltre 5milioni e 150mila. In media circa 69 ore per azienda. I dati snocciolati da “Il Sole 24 Ore” raccontano che (su scala nazionale) i settori più interessati dall’aumento d’ore di cassa integrazione sono: pelli-cuoio-calzature (+139,4%), abbigliamento (+124,7%), tessili (+74,6%) e meccaniche (+48,3%). Con quest’ultimo che, oltre ad essere tra i primi per aumento, segna il record di ore richieste: 152 milioni e 845mila (un abisso la distanza dal secondo, il metallurgico, che si ferma sotto i 30milioni).
Incrociando i dati, proviamo a fare zoom sulla nostra area andando a toccare con mano la situazione in essere in alcuni di settori citati (moda e meccanica) su quello che, sempre stando ai numeri, è il territorio più in affanno in tutto lo Stivale.
MARIO VADRUCCI. CAMERA DI COMMERCIO LECCE
Ci introduce all’argomento il presidente della Camera di Commercio di Lecce, Mario Vadrucci, che forte della sua esperienza pluriennale tra le pieghe dell’economia locale ci restituisce una fotografia del momento: “Questo periodo storico ci dimostra quanto le crisi internazionali impattano anche sul nostro Salento. A volte si fa fatica a immaginare che situazioni geopolitiche lontane abbiano peso su scala ridotta ed a migliaia di chilometri. Invece, la fase convulsa che viviamo sta mettendo in difficoltà diverse aziende, soprattutto piccole e medie realtà del calzaturiero e delle tessiture del Capo di Leuca, che in alcuni casi fanno i conti con la recessione. La dimensione di queste difficoltà è giunta forte anche ai nostri uffici. Al momento, il welfare sta permettendo di tamponare il problema, garantendo almeno, in alcuni casi, la permanenza della forza lavoro. Le emorragie di personale sono infatti la più grande mazzata per le aziende in crisi: riuscire a mantenere i propri dipendenti fino allo scollinare del periodo nero è vitale”.
La ripresa post pandemica, supportata da fondi istituzionali, per qualcuno ha creato una bolla che ha accentuato il contraccolpo che ora si accusa. Ma Vadrucci non è di questo avviso:
“È vero che fino ad un anno fa parlavamo di nuove assunzioni ed oggi ci lecchiamo le ferite, ma la crisi di determinati settori, come ad esempio quello del lusso, risente più delle tensioni attuali che delle scelte degli anni precedenti. I venti di guerra pesano sull’economia e ne provocano la contrazione. Il presidente Trump manifesta una voglia artificiosa di mettere fine a tutto ciò, senza un vero piano e senza il coinvolgimento delle parti in causa. Va da sé che, finché non c’è calma e tranquillità per le aziende, il domani è incerto. Attendiamo le mosse del nostro Governo, ma anche quelle dell’UE, per capire a cosa andremo incontro”.
GABRIELE ABATERUSSO, SUD SALENTO
Parliamo della Sud Salento srl con il suo responsabile amministrativo, il primo cittadino di Patù Gabriele Abaterusso.
La sua azienda opera con tre stabilimenti, tra Gagliano del Capo, Corsano ed Alessano. Il lavoro passa da una una mono-committenza: una produzione a marchio Gucci, realizzata per conto della titolare del brand, la “famiglia” Kering, multinazionale francese della moda di lusso.
La storica azienda della famiglia Abaterusso ha appena avviato una procedura di licenziamento per 120 dei suoi 335 dipendenti.
“Il Tavolo di crisi della task force regionale sta discutendo la possibilità della cassa integrazione in deroga, ma noi”, spiega Abaterusso, “abbiamo palesato come non faccia al nostro caso, mancando al momento una concreta prospettiva di ripresa. Piuttosto, abbiamo sottoposto il tema dell’aumento del costo degli ammortizzatori sociali a carico dell’azienda, che è quasi quadruplicato. Lo sosteniamo già da 15 mesi e spingerci oltre sarebbe molto rischioso per gli equilibri dell’azienda”.
La manodopera della Sud Salento è impegnata in due tipologie di reparto: taglio ed orlatura; montaggio e finissaggio. “Ci tengo a sottolineare”, continua Abaterusso, “che le difficoltà incontrate interessano unicamente il montaggio ed il finissaggio. Reparti che comunque non saranno dismessi, bensì ridimensionati. Nel 2022, abbiamo aperto degli altri reparti per le fasi di taglio ed orlatura ad Alessano. Qui abbiamo circa cento unità addette che non saranno intaccate dalla procedura di licenziamento”.
Il crollo degli ordinativi tocca infatti i soli reparti di montaggio e finissaggio, che sono passati da un fatturato di 10 milioni nel 2022 agli 8,8 del 2023 fino ad arrivare ai 4,2 milioni del 2024.
Ma Abaterusso ha una sua visione sulla situazione che il settore vive: “Sono fiducioso sul futuro. Nel nostro territorio il lusso e la moda hanno rappresentato e stanno rappresentando un’opportunità di lavoro e benessere per migliaia di lavoratori e famiglie. Penso che alla lunga continuerà ad essere così: quello della moda è un settore particolare, che ci ha abituato da sempre ad alti e bassi. Sicuramente col senno di poi possiamo dire che l’accelerata post Covid è stata eccessiva, ma la crisi ci racconta come tutto il settore del lusso sia difficoltà. Questo dipende sicuramente dalle tensioni globali e dalle novità che hanno interessato mercati come quello cinese e russo”.
Difficoltà sì, ma senza perdere il controllo: “In azienda avevamo optato per la settimana corta: vista la riduzione delle ore di lavoro avevamo chiuso i venerdì. Dalla scorsa settimana abbiamo ripreso a lavorare anche di venerdì, ma sempre con le catene di montaggio ridotte. Mentre ad Alessano i nuovi reparti di taglio e giunteria che avevamo tenuto in fermo prolungato hanno ripreso a pieno periodo”.
Prima di congedarci, un pensiero spontaneo: “Ci tengo a rivolgermi a coloro che perderanno il posto di lavoro. Da anni siamo abituati a fare i conti con una progressione e con l’aumento del lavoro e delle commesse. Una espansione che ci ha dato possibilità di offrire lavoro a molte persone, che sono diventate parte della nostra famiglia. Per noi questo è un momento di grande tristezza da cui ripartiamo prendendo un impegno: non ci accontenteremo del domani e non accetteremo questa condizione. Lavoreremo per restare competitivi e per cogliere la ripresa e le nuove occasioni che si presenteranno sul mercato, per poter tornare a collaborare con quelle persone da cui oggi siamo costretti a separarci”.
(Dopo la pubblicazione del nostro articolo, è giunta in Redazione una nota congiunta dei sindacati sulle procedure di licenziamento in atto. Sindacati che affermano: “Valuteremo con attenzione la procedura, anche alla luce del lavoro straordinario che si sta svolgendo”. Clicca qui per leggere l’articolo)
ANTONIO BRAMATO, OLC
Con l’ingegner Antonio Bramato facciamo il punto dalla prospettiva di OLC, azienda di Specchia che si occupa di costruzioni metalmeccaniche e carpenteria metallica.
“I nostri clienti sono soprattutto venditori di macchine movimento terra. Dalla lavorazione della materia prima sino al pre-assemblaggio ed alla verniciatura, passando per taglio, saldatura, lavorazione meccanica e via discorrendo, tutte le fasi trovano sfogo nella vendita finale, operata dai nostri committenti. Questo mercato è strettamente legato alle costruzioni ed agli appalti pubblici, ma va sé che risenta molto delle vicende internazionali (chiusura dei mercati russo, est europeo e asiatico, unita alla guerra dei dazi)”.
Come vanno le cose in OLC: “Ci aspettavamo una flessione nel settore, per come si è palesata nel 2024, e ci aspettiamo che perduri nel 2025. Il 2026 resta al momento un punto interrogativo. Ad oggi siamo in contratto di solidarietà. Contiamo di recedervi, salvo sorprese, dal prossimo anno. Si lavora a turno, a rotazione sui vari reparti. Non abbiamo avviato procedure di licenziamento, ma (a scadenza) abbiamo perduto i lavoratori a tempo determinato. La stessa normativa, del resto, prevede l’impossibilità di rinnovarli durante il regime di contratto di solidarietà. Con la forza lavoro a disposizione, lavoriamo attualmente all’80%. Prevediamo di riuscire a salire al 95% per agosto. Il nostro è un settore che risente anche della stagionalità: leggera flessione in inverno e ripresa tra primavera ed estate”.
Tavoli tecnici, Governo, Europa come dovrebbero intervenire? “La prima cosa da fare è quella di porre fine all’era dei bonus. Sin dalla pandemia, sono state utilizzate tante misure (dal famigerato Superbonus fino al PNRR) che si sono rivelate tossiche per il mercato. Non fanno che creare pericolose bolle. Se utilizzati male, bonus e incentivi portano ad investimenti sbagliati da cui è impossibile risollevarsi. Molte aziende, anche nostre concorrenti, li hanno utilizzati per nuovi capannoni ed aumento del personale. Investimenti ottimistici (con annessi fatturati drogati) che in breve tempo si sono rivelati distaccati dalla realtà.
Non a caso fino a pochi anni fa era difficile reperire forza lavoro qualificata, mentre oggi queste figure, licenziate altrove, si presentano alla nostra porta da sole”.
Attualità
I sindacati sui licenziamenti della Sud Salento: “Potrebbero fare di più”
In una nota congiunta Filctem Cgil, Femca Cisl e UILTEC promettono di “vigilare e valutare bene la procedura: in questi giorni, operai impegnati in straordinari”
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Dopo il nostro approfondimento sul tema CIG in Salento arriva una nota a firma congiunta delle sigle Filctem Cgil, Femca Cisl e UILTEC, che prendono parola sulla procedura per il licenziamento di 120 lavoratori avviata dalla Sud Salento srl (in foto). La pubblichiamo integralmente qui di seguito.
“La scelta della Sud Salento di Gagliano del Capo di aprire la
procedura per il licenziamento per 120 lavoratori sarebbe
totalmente inaccettabile se non fosse arrivata in un innegabile
momento di profonda difficoltà del TAC (tessile abbigliamento
calzaturiero), più un anno di CIG aziendale trascorsa e, in
particolare, la profonda crisi che da tempo attraversa il settore
calzaturiero, specificatamente per i reparti di montaggio della
calzatura.
L’aggravante ancor più evidente è che l’azienda produce quasi
esclusivamente per il gruppo Kering, con produzioni totalmente in
marchio Gucci e, per gli addetti ai lavori, è conosciuta la situazione
non proprio rosea degli andamenti di vendita di Gucci.
Riteniamo però che sia il marchio (Gucci) e prima ancora l’azienda
che alimenta Sud Salento (Pigini), con l’azienda stessa, debbano
fare uno sforzo ulteriore a ridurre il numero di posti di lavoro che si perderebbero in un lembo d’Italia dove non sarebbe solo alquanto difficile, sicuramente impossibile, ricollocarsi sul mercato del lavoro.
Valuteremo bene la possibile firma dell’accordo con il numero di licenziamenti dichiarati anche alla luce dell’attuale aumento della produzione e, secondo quello che ci riportano i lavoratori, del lavoro straordinario che si sta svolgendo in questi giorni.
Necessita ridurre le unità in esubero e traguardare un affidabile ed
equilibrato rilancio aziendale con una vera negoziazione tra le parti
per non dover ricorrere a enti ed istituzioni esterne (Task Force
Regionale per l’occupazione, ecc.) quali regolatori terzi della difficile
vertenza in atto”.
Alessano
Gli arredi in piazza spaccano Alessano
Lanciata una raccolta firme per chiedere di rivedere l’installazione delle nuove panchine. Il sindaco: “Dialoghiamo, ma…”
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Petizione popolare ad Alessano per richiedere “una piazza priva di barriere ed ostacoli”. L’ha indetta un gruppo di cittadini guidato da Massimo Vasquez Giuliano, Giuseppe Sergi e Maurizio Scalese. Il sabato (mattina e pomeriggio) e la domenica mattina, fino al prossimo 23 marzo, si terrà una raccolta firme per il destino della centralissima piazza Don Tonino. Location della raccolta è la stessa piazza, sotto l’orologio (sul nostro cartaceo, andato in stampa giovedì, è indicata la sede che era stata individuata in prima battuta, ossia il Vescovado. Sede variata dopo ottenimento di autorizzazione all’occupazione del suolo pubblico).
L’obiettivo dei promotori dell’iniziativa è renderla “esente da rischi e pericoli. Sicura, ospitale, accogliente e inclusiva. Accortamente regolamentata, in modo da favorirne la pubblica fruizione. Una piazza”, continuano i firmatari, “che rispetti la storia che la circonda e la impreziosisce”.
All’attenzione diretta della cittadinanza e del Comune viene portata la presenza dei nuovi arredi urbani ivi installati. “Ne richiediamo la rimozione o, al più, la rimodulazione della loro sistemazione al fine di rendere il tutto più gradevole e meno impattante”. Inoltre, viene proposta l’utilizzo di sistemi alternativi alla regolamentazione del traffico, “come la creazione di una ZTL con apposite telecamere oppure l’installazione di dissuasori automatici a scomparsa che consentano l’attraversamento della piazza a mezzi autorizzati o d’emergenza”.
Il sindaco
Il sindaco di Alessano, Osvaldo Stendardo, non si scompone dinanzi alla richiesta: “Abbiamo accolto la richiesta di dialogo dei firmatari”, ci spiega, “ed incontrato in riunione i commercianti. Abbiamo predisposto anche un incontro sul tema anche con il Comandante della polizia locale e con l’ufficio tecnico, visto che si tratta di provvedimenti di natura più gestionale che amministrativa. Abbiamo, insomma, rassicurato i promotori sul fatto che avremmo preso in considerazione ogni eventuale criticità. Era stato richiesto l’utilizzo dell’ufficio anagrafe per la raccolta firme, ma non è possibile chiaramente tenerlo aperto nei giorni festivi, pertanto avevamo suggerito la collocazione in piazza, con l’autenticazione a cura di un consigliere comunale. La petizione è un atto di democrazia, ma ci stupisce, a questo punto, vedere che nonostante quanto detto la raccolta firme continui”.
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