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L’unica cosa di cui siamo sicuri è che ci sentiamo insicuri

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Non c’è dubbio che l’argomento della sicurezza rappresenta uno degli aspetti della convivenza sociale che negli ultimi tempi ha monopolizzato un grande interesse all’interno del più generale dibattito pubblico. Probabilmente il limite -e l’errore culturale- di questo dibattito sta nell’aver impostato la riflessione quasi esclusivamente sugli aspetti securitari del problema, cioè, accentuando la discussione e diffondendo informazioni su questioni come la criminalità diffusa o microcriminalità (specialmente se vincolata alla presenza di migranti di origine straniera), la clandestinità di un certo numero di immigrati e altri tipi di situazioni o comportamenti considerati come patologie sociali e, perciò, da reprimere e combattere in modo deciso per garantire protezione sociale e tranquillità psicologica ai cittadini.


Ma, siamo sicuri che l’approccio securitario sia l’unico percorso possibile con cui analizzare la percezione di insicurezza che caratterizza il vivere contemporaneo? Una curiosità innanzitutto: nessun esperto di quelli che vediamo nei talk show televisivi o intervistato dai giornali è stato finora in grado di spiegarci cosa voglia dire, esattamente, sicurezza. E’ probabile che nessuno di loro sappia dirci cosa essa sia di preciso. La loro idea di sicurezza, tende ad essere dedotta dalle cose che dicono a proposito del fenomeno dell’insicurezza. Questi esperti, insomma, parlano spesso e volentieri di mancanza o assenza di sicurezza ma mai di sicurezza in sé. E non credo che il loro vuoto esplicativo sia dovuto ad una questione di “crampi mentali”.


I brillanti contributi del sociologo Sygmunt Bauman possono essere molto utili per inquadrare la discussione sul binomio sicurezza-insicurezza. Egli, infatti, nel mettere a fuoco ciò che ha definito “modernità liquida”, fa emergere in modo dirompente l’incertezza esistenziale in cui trascorriamo la nostra vita: viviamo immersi in un eterno presente in cui è difficile distinguere il durevole dall’effimero, con conseguenze imprevedibili per la nostra stabilità identitaria. L’essere super-consumatori, secondo Bauman, può appagare una certa sensazione di sicurezza. L’essere cattivo consumatore, invece, ci butta nell’insicurezza; avere un lavoro sicuro ci dà sicurezza; un lavoro precario al contrario, ci procura insicurezza. Una società con un alto tasso di welfare fa sentire più sicuri i suoi cittadini socialmente meno svantaggiati; una società con un welfare inesistente o smantellato possiede cittadini incerti e senza prospettive di futuro.


Avere tante amicizie ci fa sentire meno insicuri, ecc., ecc. Se le cose stanno così, di quale tipo di sicurezza stiamo parlando? Ha senso parlare di sicurezza soltanto in senso securitario? La risposta, decisamente, è no. L’indebolimento del sistema di tutele sociali, dei valori condivisi di solidarietà nelle relazioni sociali, la crisi di fiducia nel futuro e la sempre più  prevalente  logica del “si salvi chi può” creano le condizioni per l’espandersi del sentimento di insicurezza psico-esistenziale e sociale. Di questo però, si parla poco o non se ne parla affatto. Anzi, questi aspetti vengono strumentalmente proposti quale prova del “fallimento” di certe politiche pubbliche -definite demagogicamente “buoniste”- e ideologicamente orientati a identificare, a tutti i costi, i responsabili di questa situazione di generalizzata incertezza/insicurezza.

Questi sono, ovviamente, gli “altri”: gli stranei e sconosciuti; i diversi ed emarginati; i furbi e parassiti, ecc. Una politica innovativa in materia di sicurezza deve inserire tra le sue priorità la lotta alla povertà relazionale e, quindi una riattivazione di modelli di vita solidali prima ancora di addentrarsi in questioni securitarie e di caccia all’untore di turno.


Edgar J. Serrano


Esperto di immigrazione, intercultura e politiche della partecipazione


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Saggio di Natale a Nardò

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Domenica 22 dicembre si è svolto al palazzetto dello sport Andrea Pasca di Nardò, il primo saggio di Natale della scuola di ballo Anastasia Dance: Jingle dance.

Non solo ballo ma anche attrazioni natalizie per tutti i bambini: Anna ed elsa, elfi, zucchero filato per tutti, babbo natale con la buca lettere per le letterine, angolo scenografico. Tante coreografie che hanno visto esibirsi 50 ballerini della scuola Anastasia Dance dei maestri Francesca Paglialunga e Salvatore Vacca.

L’evento è stato patrocinato dal Comune di Nardò, grazie alla preziosa collaborazione del presidente del Consiglio comunale con delega allo sport Antonio Tondo e del presidente della Consulta dello sport Tony De Paola.

Le iscrizioni per il nuovo anno sono aperte e i maestri vi aspettano in via due Aie, 67 a Nardò.

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Annuo Nuovo, una “buona vecchia abitudine: il bagno a mare

Sono tanti i salentini che nonostante l’estate sia solo uno sbiadito ricordo, continuano a “calare” i propri corpi nelle fredde e chiare acque di mare: una usanza, forse; una ricetta per la longevità, sostiene qualcun altro

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Anche questo 2025 si è palesato con il volto e gli usi di altri inverni, un deja vù, insomma.

Sono tanti i salentini che nonostante l’estate sia solo uno sbiadito ricordo, continuano a “calare” i propri corpi nelle fredde e chiare acque di mare: una usanza, forse; una ricetta per la longevità, sostiene qualcun altro; un modo per curare la forma e l’anima; una sorta di rito propiziatorio, ci confidano, un po’ come fare il bagno nelle acque del Gange (per gli indù c’è la convinzione che effettuando il bagno nel fiume si possa ottenere il perdono dei peccati e un aiuto per raggiungere la salvezza).

Pertanto anche quest’anno a Capodanno passeggiando per le nostre coste, da OtrantoS. Cesarea a Castro, passando per Tricase e Leuca, era facile scorgere alcuni coraggiosi e volenterosi che iniziavano l’anno con il “solito” rito propiziatorio: il bagno a mare.

 

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Marittima: in Bottega l’ultimo appuntamento con le degustazioni

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Riceviamo e pubblichiamo

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