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Approfondimenti

Leuca e la ‘nuova’ Colonia Scarciglia che mette tutti d’accordo

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COLONIA SCARCIGLIA, LEUCA



Presso il Circolo della Vela di Santa Maria di Leuca, è stato presentato ufficialmente il progetto di riqualificazione della Colonia Scarciglia vincitore del bando di gara emanato dall’amministrazione di Castrignano del Capo alla fine del 2022.


IL FUTURO DI LEUCA


Il presidente dello Yacht Club, Giovanni Arditi di Castelvetere, ha posto l’attenzione sul fatto che il progetto di riqualificazione della Colonia Scarciglia rappresenta il futuro di Leuca, allo stesso modo in cui lo Yacht Club Leuca, le cui radici affondando nel lontano 1878, ne rappresenta la storia.


OCCASIONE DI RILANCIO


Per il sindaco di Castrignano del Capo, Francesco Petracca, rappresenta un’occasione di rilancio per il territorio e si inserisce in un programma di rigenerazione più ampio: «La Colonia Scarciglia, così come appare oggi, non è un buon biglietto da visita per Leuca.  Appena ho visto il progetto me ne sono subito innamorato: non è impattante; è rispettoso dell’ambiente; rinuncia a 700 mq di volumi; comporta una riqualificazione dell’intero promontorio di Punta Meliso, anche attraverso un rimboscamento; prevede una serie di collegamenti con la Via Francigena e con la Via Crucis, rivolgendosi anche al turismo religioso e dei cammini; lascia aperto al pubblico il percorso che porta a Punta Meliso e, infine, è un progetto che dall’esterno si vede poco, si confonde con la roccia e la macchia mediterranea».


DA APPLAUSI


L’assessora regionale Anna Grazia Maraschio ha sottolineato come il progetto coniughi «tutte le componenti essenziali negli interventi di riqualificazione» ed ha raccontato come «quando fu presentato per la prima volta ai funzionari del paesaggio e dell’urbanistica della Regione Puglia, alla fine ci furono un minuto di silenzio e un applauso».


PER MONSIGNORE E’ OK


Don Gianni Leo (Rettore della Basilica di Santa Maria De Finibus Terrae), intervenuto per conto del Vescovo di Ugento – Santa Maria di Leuca, ha ricordato come Mons. Vito Angiuli sia «stato tra i primi a visionare questo progetto e ad auspicarne la realizzazione».


RESTUTUISCE BELLEZZA


L’imprenditore Ivan De Masi ha posto l’accento sulla valenza pubblica: «Il progetto risponde ad un’esigenza del Comune di Castrignano del Capo che prevede la riqualificazione urbana di un’area più vasta. Restituisce bellezza e fa convivere pubblico e privato. Una parte del progetto è destinata, infatti, a rimanere pubblica e sarà la sede di una Fondazione Culturale di cui si spera facciano parte le istituzioni: l’Università del Salento, la Diocesi ed i privati che a vario titolo operano sul territorio».


LUOGO UNICO


L’altro imprenditore in rappresentanza dell’azienda promotrice Alboran Real Estate, Pasquale Amabile si è soffermato sugli aspetti turistico-ricettivi del progetto: «Nell’immaginario collettivo dell’Italia, Leuca è percepita come un luogo unico, al pari di Capri, ma può e deve ancora crescere da molti punti di vista. L’auspicio è che possa farlo anche grazie a questo progetto, che prevede la creazione di una struttura ricettiva di alto livello, finalizzata a qualificare ancora di più l’offerta turistica in Salento».


PAESAGGIO PROTAGONISTA


L’architetto Toti Semerano, infine, ha spiegato la filosofia di fondo del progetto: «L’attuale fronte della Colonia Scarciglia è un detrattore ambientale, nonostante la sua storia e le ragioni straordinarie per cui è stato realizzato. Il progetto si propone di lasciare solo il piano terra dell’immobile e di rivelare la collina alle sue spalle, che è stata cancellata e non è più percepibile. Il vero protagonista è il paesaggio. La caratteristica essenziale del progetto consiste nella sua doppia natura: da un lato la Fondazione Culturale aperta al pubblico, che sarà il motore della nuova Colonia Scarciglia, dall’altro la struttura ricettiva e gli annessi servizi (bar, ristorante, piscina, spa ecc.) per gli ospiti».


IL FUTURO DIRETTORE


Sulla eliminazione della facciata e, più in generale, sulla riduzione del volume esistente, si è soffermato anche Mario Carparelli, futuro Direttore della Fondazione: «Quando ho visto per la prima volta il progetto ho pensato a Michelangelo, che si definiva artista “del levare” e non “del mettere”, perché per lui il blocco di marmo andava scolpito affinché potesse liberare la statua che vi era imprigionata dentro. Esattamente come Michelangelo, Toti Semerano con il suo progetto non aggiunge ma toglie, liberando la bellezza offuscata dall’attuale struttura».




SINTESI DEL PROGETTO


Il progetto, che si è aggiudicato il Premio The Plan Award 2021 per la categoria paesaggio promosso dalla rivista di architettura e design The Plan, invece di utilizzare il volume esistente, prevede di ridurlo drasticamente facendo riapparire la collina ora del tutto celata alla vista: un intervento dove l’architettura dialoga, si integra, si fonda col paesaggio.


Dell’imponente volume della Colonia Scarciglia viene utilizzato esclusivamente il piano terreno, viene recuperato invece il volume esistente dell’ex scuola, destinandolo a residenza turistica con annessi servizi.

La parte rimanente del piano terreno, opportunamente ristrutturata, resta nella disponibilità pubblica e viene recuperata per dare sede in futuro a una costituenda Fondazione Culturale.


Un unico elemento svetta nel paesaggio recuperato: una Torre di grande valore simbolico, la cui altezza è la memoria della dimensione dell’ex colonia, al cui attuale volume si sceglie di rinunciare.


La Torre sarà un segno identificativo del paesaggio costiero salentino, ma anche la Porta di accesso alla collina sovrastante, che si vuole rendere accessibile non solo come passeggiata, ma anche estendendo, attraverso un restauro botanico, la parte alberata così da formare un bosco rigenerativo dell’intero costone.

Gli appositi percorsi serviranno a raggiungere da Leuca il Santuario De Finibus Terrae e avranno pendenze adeguate, in quanto progettate con il fine di eliminare ogni barriera architettonica e dare comodo accesso alla terrazza che si sviluppa sopra l’immobile destinato alla sede della Fondazione.


Questo grande spazio diventerà una Arena cinema all’aperto e sarà utilizzabile, oltre che per proiezioni e rassegne cinematografiche, anche per ogni altra manifestazione culturale.



Rendering Colonia Scarciglia-55


UN PO’ DI STORIA, UNA VOLTA LA COLONIA ERA COSì….



Il prof. Hervé Cavallera.


L’attuale progetto di riqualificazione della vecchia Colonia Scarciglia, da tempo abbandonata, fa riemergere ricordi di un passato ormai svanito, divenuto storia.


Per tutto l’Ottocento non pochi erano, nella penisola italiana, i bambini poveri ed esposti a malattie. Pertanto varie associazioni filantropiche e religiose decisero di ospitarli, durante la calura estiva, in degli edifici detti colonie marine (o ospizi).


La più antica colonia pare sia quella aperta a dei bambini di strada da parte dell’Ospedale di Lucca a Viareggio nel 1822. Altri ospizi con analoghi compiti sorsero in zone montane.La loro finalità non era solo ricreativa, ma soprattutto sanatoriale, in particolar modo per piccoli malati di tubercolosi e di scrofolosi.


Il fenomeno della presenza di tali malattie si era accentuato con l’urbanizzazione, la quale aveva generato ulteriori problemi igienici nei quartieri popolari, dove molte volte mancava l’acqua e carenti erano i servizi igienici.


Né la situazione igienica era più rosea nei tanti medi e piccoli Comuni italiani. La prima guerra mondiale accrebbe ancor di più il disagio igienico ed economico, con la diffusione di malattie come la sifilide, il tracoma e il tifo, oltre che la tubercolosi.


Il fascismo, all’interno della sua visione dello Stato totalitario, affrontò risolutamente il problema della organizzazione di massa della gioventù e dell’igiene sociale potenziando le colonie estive, montane e marine e, dal 1926, la loro gestione fu affidata alle locali federazioni del Partito Nazionale Fascista.


Per quanto riguarda il basso Salento orientale, nel 1928 fu aperta a Leuca la Colonia “Luigi Scarciglia” e un’altra, denominata Colonia Trieste, ai Laghi Alimini (Otranto). Il tutto fu poi, con gli anni Trenta, gestito dall’Opera Nazionale Maternità e Infanzia (ONMI) e dall’Opera Nazionale Balilla (ONB). Nel 1937 la cura delle colonie fu affidata alla Gioventù Italiana del Littorio (GIL).


Alle colonie potevano accedere – così si legge in un regolamento del 1939 – bambini provenienti da famiglie bisognose, dando la precedenza agli orfani di caduti di guerra e ai figli di mutilati e di invalidi per la grande guerra.


L’età dei frequentanti  andava dai 6 ai 13 anni. Dalle fonti ufficiali risulta un totale di 568.680 assistiti nel 1935 e 806.964 durante l’estate del 1939.


Il soggiorno durava circa un mese, secondo un piano giornaliero di attività stabilito a livello nazionale, in cui non mancava il carattere patriottico secondo il costume del tempo.


Con la  nascita della Repubblica Italiana le colonie estive hanno poi assunto un carattere più vacanziero oltre che formativo e sanitario, e il patrimonio immobiliare  delle colonie  è stato  affidato prima alle  province e regioni e poi, negli anni ’70, agli enti locali.


Soprattutto negli anni anteriori al boom economico, le colonie estive rappresentavano una mèta ambita per tanti bambini, anche se non sempre facile da raggiungere. Le auto private negli anni ’50 non erano molte, sì che i bambini, come ben ricordo, potevano ancora giocare per  strada; il tutto con la vigilanza, discreta ma oculata, di madri e parenti anziani.


Né erano adeguati (e non lo sono tuttora) i mezzi pubblici per lo spostamento nei vari paesi del Capo di Leuca, sì che andare alla Colonia Scarciglia (e risiedervi) rappresentava allora un’autentica avventura e non sempre le famiglie, per privata cautela, erano disposte ad affidarvi i loro figli. Il distacco da casa non era sentimentalmente ben vissuto dai genitori.


Accettato era invece lo spostarsi in gruppo, in modo da essere sicuri di quanto potesse accadere ai piccoli. In un momento storico in cui le risorse economiche erano assai ristrette, i villeggianti nelle marine appartenevano di solito al ceto medio-alto. Essendo inoltre i nostri paesi distanti dal mare pochi chilometri,  i più solevano recarsi al mare  per il tramite della corriera che in vari Comuni collegava giornalmente il centro urbano con la marina.


Per tale motivo, negli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta, la frequenza della Colonia era considera propria delle classi sociali meno abbienti e d’altra parte non sempre i Comuni – riferendoci al nostro territorio – erano in grado o capaci di sviluppare una amministrazione che attraesse e incrementasse con indubbi vantaggi ricreativi e formativi la vita dei ragazzi durante il soggiorno.


Di qui il graduale ma inesorabile declino, sì che una struttura, pur imponente come la Colonia Scarciglia, è andata incontro all’abbandono.


E tuttavia occorre sottolineare che il ruolo delle colonie estive è stato importante sotto tanti aspetti. In primo luogo quello sanatoriale in quanto non solo garantiva un momento di vita in un ambiente salubre, ma sospingeva alla utilizzazione di una vita igienica, laddove varie abitazioni erano prive dei servizi primari.


Poi i bambini socializzavano e imparavano la disciplina, elementi fondamentali del vivere civile. Così le colonie esprimevano l’esigenza che lo Stato tutelasse e promuovesse sempre di più la salute pubblica, che è un bene essenziale.



Hervé Cavallera

Alessano

Maglie – Leuca, zoom sul secondo lotto

Una passeggiata immaginaria lungo il secondo lotto del tratto sud della nuova Maglie -Leuca, pensato per uscire dai centri abitati di Montesano , Lucugnano, Alessano, Montesardo e Gagliano

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di Lorenzo Zito

Corridoio plurimodale adriatico.

Tecnicamente, viene chiamata così la nuova Strada Statale 275 che, come abbiamo avuto modo di raccontarvi sugli scorsi numeri, sta iniziando a snodarsi, da nord verso sud, con il primo lotto (da Maglie a Montesano) che è già a tutti gli effetti un cantiere aperto.

Oggi faremo uno zoom sul secondo lotto, quello tra Andrano/Montesano e Santa Maria di Leuca.

L’ultimo passaggio burocratico di dominio pubblico a riguardo, poche settimane fa, ha visto i sindaci di Alessano, Corsano, Gagliano del Capo, Miggiano, Montesano Salentino, Specchia, Tiggiano e Tricase (i centri che saranno interessati dai lavori del secondo lotto) incontrarsi, assieme ad alcuni tecnici Anas, presso Palazzo Adorno a Lecce.

Un tavolo promosso dal presidente della Provincia, Stefano Minerva, per fare il punto sulle delibere di approvazione del progetto di fattibilità tecnico economica da parte dei singoli consigli comunali, in attesa di passare dalla progettazione esecutiva dell’opera al bando per l’assegnazione dei lavori.

L’idea, quindi, è quella di accompagnarvi in una passeggiata immaginaria lungo il nuovo tragitto lungo circa 19km che, secondo le previsioni, dal giorno in cui verrà cantierizzato (non prima di un anno e mezzo/due), richiederà circa 1350 giorni per essere portato a termine (poco più di 3 anni e mezzo).

Per una spesa, riferita ai soli lavori, di 140 milioni di euro.

CIÒ CHE NON È STATO

Brevemente ricordiamo che, dopo l’annullamento in autotutela da parte di Anas (nel 2016) della precedente gara (indetta nel 2009), furono prese in considerazione tre possibili alternative.

Scartate le prime due (dette Alternativa Est e Alternativa Ovest, con riferimento al lato da cui circumnavigare Tricase), fu scelta la cosiddetta Alternativa 3, che è quella che andiamo qui a illustrare, descritta dagli studi come quella con performance migliori dal punto di vista ambientale e funzionale, nonché per la sostenibilità dell’opera.

Va ricordato, inoltre, come il progetto inizialmente proposto da Anas prevedesse una statale a due corsie per senso di marcia (quindi quattro corsie) da Maglie sino a Leuca.

Soluzione che è stata conservata per il solo lotto nord e scartata per quello a sud, non solo per ridurne l’impatto ambientale ma anche per rispondere adeguatamente alla vera priorità dell’opera in questo tratto: portare il traffico verso il Capo di Leuca fuori dai centri abitati di Montesano, Lucugnano, Alessano, Montesardo e Gagliano, tutt’oggi tagliati in due dalla SS275.

Ultimo (ma non ultimo) l’elemento rifiuti: il nuovo progetto toglie Anas dall’imbarazzo delle discariche abusive emerse lungo il vecchio percorso tra Alessano e Tricase.

La scelta di allontanarsi da quelle aree ha un duplice effetto: da un lato scongiura il rischio di un sequestro dell’opera da parte della magistratura, dall’altro ha del tutto distolto i riflettori dal tema bonifica.

CIÒ CHE SARÀ

Eccoci allora al tracciato stradale che partirà, in direzione sud, dallo svincolo di Montesano-Andrano (nella mappa in basso in rosso).

Una lingua di asfalto con una carreggiata a due corsie, una per senso di marcia, costituita per il 71% circa da tratti in rilevato, per il 24,5% da tratti in trincea e per la restante parte, da opere in sottopasso (3.5%) e in sovrappasso con viadotti e ponti (0.4%).

22 curve, 28 rettifili, 9 intersezioni e 6 immissioni/diversioni per un percorso tecnicamente suddiviso in cinque tratti (che, come sta accadendo col primo lotto, non saranno realizzati all’unisono, ma con cantierizzazioni indipendenti, uno dopo l’altro).

Un dato interessante per gli amanti dei numeri, e non solo, ci arriva dallo studio dei volumi di traffico effettuato in fase di progettazione su alcuni punti nevralgici per la viabilità locale.

Eclatante il tratto di 275 tra Botrugno e San Cassiano, che in un totale di due ore (la somma dell’ora di punta mattutina e di quella serale) conta il transito di ben 2.300 mezzi. Interessante anche il rilievo della tangenziale di Tricase (“Cosimina”) dove nei 120 minuti più intensi passano più di 1.200 veicoli.

DA DOVE PASSA

Il rischio di appesantimento dei flussi sulla “Cosimina” è uno degli elementi che fecero cadere l’ipotesi dell’Alternativa Est (che avrebbe utilizzato proprio questa strada per il passaggio della nuova statale).

Ad oggi tuttavia, pur non inglobando il nuovo tracciato, è previsto che la tangenziale di Tricase venga raggiunta dalla Maglie-Leuca.

Va detto che la nuova opera smetterà, innanzitutto, di correre lungo quattro corsie già nel tratto finale del primo lotto.

A nord di Montesano, in prossimità di DFV, la strada si staccherà dal tracciato esistente, si ridurrà ad una corsia per senso di marcia ed eviterà l’abitato montesanese passandovi ad est, tra le campagne di Castiglione d’Otranto (vicino al campo sportivo) per arrivare ad un bivio.

Da un lato si continuerà a viaggiare per Leuca (lungo il secondo lotto), dall’altro partirà un braccio, anch’esso del tutto nuovo, destinata al traffico per e da Tricase.

Questa lingua di strada condurrà nella zona industriale tricasina, lasciandoci in località Serrafica, proprio alle porte della tangenziale Cosimina.

L’ultimo lembo del primo lotto, insomma, che porterà anche all’abitato di Montesano, sarà a lingua di serpente.

Ma questa è un’altra storia, chiamata “Lotto 1”.

SVINCOLO 1: LA ROTATORIA DI LUCUGNANO TORNA UTILE

Il secondo lotto conta 9 svincoli (numerati sulla mappa in alto) ed inizia ad est della stazione di Montesano-Miggiano-Specchia.

Si riallaccia subito al vecchio percorso, ricalcandolo fino alla mega rotatoria di Lucugnano.

Qui lo svincolo 1 (pianta in basso) sarà in adeguamento alle uscite esistenti: permetterà di entrare a Miggiano da via Padre Pio (A) e di raccordarsi alla viabilità della zona industriale tramite la famigerata (per dimensioni) rotatoria (B).

Da Montesano Salentino a Lucugnano di Tricase

SVINCOLO 2: TRA LUCUGNANO E SPECCHIA

A questo punto il nuovo tracciato si discosta dal precedente: la 275 non prosegue più in direzione dell’area artigianale lucugnanese, ma si addentra nelle campagne.

La circumnavigazione della frazione avviene dal lato ovest, avvicinandosi ai capannoni calzaturieri della famiglia Sergio, in strada comunale Rivola, ed incrociando la Specchia-Tricase.

Proprio qui, in prossimità de “La Caiaffa”, sorge il secondo svincolo: “Lucugnano ovest”.

SVINCOLO 3: TRA L’AUDITORIUM E FILOGRANA

Lasciatasi alle spalle la terra di Girolamo Comi, la nuova 275 torna a calcare il vecchio tracciato prima di arrivare sul suolo di Alessano.

La statale si ricongiunge con la strada esistente, a poco più di cento metri dall’Auditorium Benedetto XVI, scavalca la strada vicinale Santa Caterina e ci conduce allo svincolo 3: sul già esistente incrocio con la SP 184, la strada del Gonfalone, lungo la quale si incontra anche il nuovo stabilimento calzaturiero di Antonio Sergio Filograna.

SVINCOLO 4: TRA LE CAVE IN DIREZIONE TIGGIANO

La nuova 275 cambia di nuovo rotta.

Stavolta, rispetto al vecchio tracciato, si spinge ad est, addentrandosi in zona Matine per non entrare più negli abitati di Alessano e Montesardo.

Lo svincolo 4 è quello di Tiggiano.

Sorgerà in zona Tagliate, lungo l’arco che la statale andrà a comporre con una carreggiata del tutto nuova.

L’uscita si collocherà a poche centinaia di metri in linea d’aria dalla stazione ferroviaria tiggianese.

SVINCOLO 5: ALESSANO – CORSANO E LA FERROVIA

Tra il quarto ed il quinto svincolo si snoda una trama stradale alquanto articolata, che conta anche la presenza dei binari ferroviari. Torna utile un ulteriore zoom sulla zona: pubblichiamo (in basso) il progetto dello svincolo 5, cui si arriva uscendo dal territorio di Tiggiano.

Qui la statale incrocerà la provinciale 80 Alessano-Corsano (C).

Per scongiurare l’intersezione coi binari verrà realizzato un sottopasso (D).

Per le uscite, quindi, sorgerà una viabilità ai lati della carreggiata.

Come mostra la mappa (la prima in alto), ci saranno due nuove rotatorie sulla Alessano-Corsano.

Quella ad est dell’attuale dosso convoglierà il traffico anche lungo la provinciale 188, la strada con cui il Capo di Leuca ha preso confidenza nel periodo del senso unico di marcia lungo via Regina Elena a Corsano.

Alla rotatoria ad ovest invece, lato Alessano, si aggancerà anche una nuova bretella (E), una lingua di asfalto che la metterà in comunicazione con il precedente svincolo, quello di Tiggiano.

Svincolo Alessano – Corsano

SVINCOLO 6: CI PORTA DA DON TONINO

Rotolando verso sud, tangendo ma non toccando l’abitato corsanese, la nuova Maglie-Leuca entra in contatto con la provinciale 210.

È la strada che gli alessanesi percorrono per raggiungere la splendida Marina di Novaglie.

Lo svincolo 6, da cui inizia il quarto tratto di questo stralcio, si collocherà in aperta campagna ma molto vicino al cimitero di Alessano (quindi alla tomba di Don Tonino Bello, meta di considerevole turismo religioso); in prossimità della strada che si arrampica su Montesardo ed a pochi metri dall’incrocio con la Corsano-Gagliano, che sarà servito da una nuova e più sicura rotatoria.

SVINCOLO 7: TRA LA SUD SALENTO E LA STAZIONE DI GAGLIANO

Il percorso continua sinuoso attorno ai centri abitati, evitando San Dana (frazione di Gagliano) ed andando a ricalcare un pezzo del già esistente tracciato della sp81 tra Corsano e Gagliano.

In prossimità del curvone prima del distributore Apron, la provinciale diventerà per alcune centinaia di metri la nuova 275.

Salvo poi dividersi nuovamente con una virata ad ovest prima di Gagliano: la nuova carreggiata incrocerà ancora i binari, sfiorerà il calzaturificio Sud Salento e, avvicinandosi alla stazione di Gagliano, taglierà la vecchia 275.

Proprio da questo incrocio tra vecchio e nuovo prenderà vita lo svincolo 7 “Gagliano del Capo nord”.

SVINCOLO 8: CASTRIGNANO DEL CAPO (E PATÙ)

A questo punto la strada correrà tra l’abitato gaglianese e quello di castrignanese.

Sarà permesso uscire allo svincolo 8 “Castrignano del Capo”. Ci troveremo, in pratica, sulla sp 351: da un lato ci dirigeremo a Castrignano del Capo (o a Patù), dall’altro entreremo a Gagliano da sud (cimitero e nuovo Eurospin).

SVINCOLO 9: DE FINIBUS TERRAE

Non è finita: c’è il quinto ed ultimo tratto che, costeggiando Salignano con un’opera del tutto nuova e viaggiando a sinistra (ad ovest) del vecchio tracciato, ci condurrà all’ultimo svincolo, il numero 9: “Gagliano del Capo – sud”.

Siamo alle porte di Santa Maria di Leuca, il punto in cui già oggi la 275 si passa il testimone con un’altra statale, la 274 Gallipoli-Leuca.

È qui, con un adeguamento dell’intersezione esistente, ai confini della terra, che è attesa una delle opere più discusse della storia del Salento.

È qui che, si spera presto, termineremo di fantasticare su questo tracciato che immaginiamo da oltre 30 anni.

 

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Approfondimenti

Ulivi e vigneti: secoli di storia che non devono finire con la xylella

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di Hervé Cavallera

Chi nel corso della storia visitava il Salento rimaneva colpito dalla distesa di olivi e dalla qualità dell’olio, su cui nel Settecento ben si intratteneva il gallipolino Giovanni Presta (1720-1797), del quale nel 1988 e nel 1989 ho ripubblicato le opere.

Accanto all’olio ecco aggiungersi la produzione del vino, tra cui di particolare pregio è il “primitivo”, il cui nome risale a don Francesco Filippo Indellicati (1767-1831) di Gioia del Colle, il quale ritenne che un particolare vigneto della sua terra si potesse già vendemmiare ad agosto.

La distesa degli oliveti e dei vigneti è stata da sempre un grande spettacolo di bellezza, spettacolo che, al tempo stesso, veniva a simboleggiare due elementi fondamentali nella nostra vita: l’olivo, rappresentando il rinnovamento e la forza vitale; la vite, il benessere e l’abbondanza.

L’olivo, inoltre, è stato sempre inteso come simbolo di pace.

Da tempo la distesa di olivi non è più tale. A partire dal 2013 la Xylella ha distrutto migliaia e migliaia di alberi d’olivo e l’infezione, che ha in primo luogo investito il Salento, si è col tempo estesa sino alla Terra barese.

Così chi percorre le nostre campagne non può che constatare la tristezza degli oliveti in rovina e moltissimi alberi sono stati sradicati. Si è avuto pertanto un eccezionale danno sia ambientale e socio-economico sia storico-paesaggistico.

Alberi plurisecolari sono stati distrutti e la produzione di olio ne ha pagato le conseguenze, non solo con l’aumento del prezzo per quello esistente, ma anche con l’importazione di olio proveniente da altre parti del mondo.

Non è questa la sede per soffermarsi sulla provenienza del batterio e sul modo su cui l’epidemia è stata affrontata, sicuramente sottovalutandola e intendendola come un fenomeno locale, con devastanti conseguenze soprattutto per il Salento ma anche – di conseguenza – per la Puglia in generale.

E la questione non è del tutto chiusa, nonostante qualche studioso sostenga che il peggio è passato e che si può andare incontro alla graduale ripresa, che comunque comporterà non poco tempo data la qualità e quantità del disastro.

E non è finita. Mentre ancora non si riesce a uscire dal malanno, ecco che si annunzia un altro. Un ceppo della Xylella fastidiosa tende a colpire non solo alberi come le querce, i mandorli e gli oleandri, ma anche le viti e pare che nel Barese alcuni vigneti di uva da tavola siano risultati infettati dal batterio, aprendo un altro drammatico scenario.

Sembra di assistere allo sfasciarsi di una tradizione millenaria: la forza vitale (l’olivo) viene meno e dilegua il benessere (i vitigni).

È la realtà di un presente frantumato che non riesce a far fronte con lucidità alle novità che irrompono e devastano e rendono incerta quella che era una garanzia plurisecolare.

La pace come gli olivi viene meno e si estende la violenza sotto forme diverse, mentre si è incapaci di ogni saggio controllo. Tale potrebbe essere una metafora del nostro tempo, una trasposizione simbolica di immagini che rappresentano la situazione dell’esistente.

NON E’  TEMPO DI CONTRAPPOSIZIONI

Al di là di questa considerazione sul mondo che viviamo, resta, prosaicamente si potrebbe forse dire, il problema dell’immediato, che è quello di un’epidemia che ha colpito gli olivi e che rischia di estendersi con altrettanta pericolosità sui vitigni.

E l’affrontare la battaglia spetta ai politici, agli studiosi, agli esperti. E tutti devono agire in una comune simbiosi, ben sapendo che in gioco sono più cose: la bellezza delle campagne, la qualità (dei prodotti), l’economia (il guadagno che si ricava dall’olio e dal vino).

Ma sono anche in gioco l’avvedutezza di coloro che gestiscono la cosa pubblica e le conoscenze tecniche e scientifiche di tanti specialisti.

E devono venir meno le contrapposizioni, soprattutto quelle che impediscono dei piani organici aperti però a continua verifica. Non si deve dimenticare che nel passato non lontano si è considerata la diffusione della Xylella fastidiosa un mero fenomeno locale, trascurando peraltro il fatto che, se anche così fosse stato, il danno non sarebbe stato comunque insignificante.

Come accade che ci siano tuttora pareri diversi intorno all’abbattimento delle piante. Per questo bisogna non solo studiare come arginare e bloccare la diffusione del batterio, ma occorre valutare continuamente gli interventi e modificarli secondo la bisogna.

E non sono sufficienti, per quanto necessarie, unità operative provinciali e regionali. È opportuno che la questione sia portata a livello più alto e superi le barriere di ogni tipo che possono sorgere allorché si manifestano interventi pubblici. Occorre effettivamente un coinvolgimento generale, che al tempo stesso sappia articolarsi secondo le diverse competenze e con opportune strategie oculatamente dirette.

Nell’operare insieme, politici, tecnici, studiosi, proprietari terrieri e così via, si riscopre inoltre il senso di una comunità, il ricompattarsi della stessa.

Con un’espressione latina (ed ecco il rinvio a un mondo – quello dell’antica Roma – che non deve svanire in quanto ne siamo figli) Iam proximus ardet Ucalegon (già brucia il vicino palazzo di Ucalegonte) e le parole di Virgilio (Eneide, libro II, versi 311/312) spiegano molto bene che il danno non riguarda solo gli altri, ma anche noi stessi in quanto, come le fiamme del palazzo attiguo investono il nostro, la rovina della terra in cui viviamo, pur senza esserne proprietari, ci investe tutti.

E il bene pubblico va oltre ogni divisione paesana, territoriale, politica.

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Approfondimenti

La cappella e la cavalla devota che scoprì la tela della Madonna

Nel rione di Caprarica. Con i fondi dell’8 per mille recuperata la chiesa nella sua interezza: ogni elemento originario (mensa, tabernacolo, tele) è stato oggetto di attente operazioni di restauro…

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di Luigi Zito

Era il 1651, in una uggiosa giornata di novembre, i frantoi di Tricase giravano a tempo pieno, si dovevano molire le olive, spremerle e produrre quello che per secoli è stato l’oro del Salento: l’olio.

Una stanca cavalla, legata e bardata di tutto punto, faceva girare le macine che servivano alla spremitura delle olive.

Alcuni contadini, che vegliavano il logorio dell’animale, si resero conto che, ogni qualvolta percorreva un determinato tratto del frantoio ipogeo, la cavalla aveva un sussulto, come zoppa si inchinava davanti a qualcosa.

Intrigati da quel fenomeno, i nachiri, decisero di scavare in quel punto indicato dall’animale e, come per miracolo, rinvennero una tela della Madonna di Cassiobe.

Fu così che si decise di costruire in quel luogo preciso una cappella dedicata alla venerazione della Madonna. Oggi, dopo 4 secoli, possiamo asserire che in parte quella leggenda rispecchiava la realtà.

Infatti, durante i recenti lavori di rifacimento della pavimentazione interna della cappella, è stata rinvenuta l’imboccatura di un frantoio (in parte crollato) collocato proprio sotto la chiesa.

La Chiesa dell’Immacolata e del SS. Sacramento, oggi sede della Congregazione dell’Immacolata Concezione (priore Claudio Ruberto, oggi conta 130 iscritti), è sita nel rione di Caprarica di Tricase, persa tra le viuzze del centro storico, inglobata nel tessuto edilizio circostante.

È una chiesa a unica navata, edificata presumibilmente attorno alla metà del XVII secolo, come attesta il libro dei defunti della parrocchia, che fa risalire la prima inumazione al 4 aprile 1654.

LA CAPPELLA NEGLI ANNI

È frutto di due interventi edilizi di ampliamento: il primo nel 1922 quando venne costruita una sagrestia; il secondo nel 1967 vide la demolizione e ricostruzione della stessa, una sala riunioni e un campanile a torre (completato nel 1973).

Fino al 1967, nella chiesa era presente un unico altare a muro con il tabernacolo e al di sopra, posti in successione, la tela della Madonna di Cassiobe e quella della Vergine Immacolata con i quattro Santi protettori della Confraternita.

Tra il 1967-1970, con i lavori di ampliamento, si attuò lo smembramento di tutto l’apparato dell’altare a muro, dislocando gli elementi costitutivi (mensa, tabernacolo e tele) in posizioni differenti all’interno della chiesa.

L’ultima funzione religiosa fu celebrata il 24 marzo 2013, da don Eugenio Licchetta. Successivamente, gravi problemi strutturali portarono a interdire il culto e a chiudere la chiesa.

Il parroco di allora, don William Del Vecchio, in accordo con la Confraternita dell’Immacolata, nel 2015 intraprese l’iter per il recupero e il restauro della chiesa e affidarono i lavori agli architetti Agnese Piscopiello e Francesco Pala.

La Conferenza Episcopale Italiana, con i fondi dell’8 per mille, finanziò il progetto e si procedette a recuperare la chiesa nella sua interezza.
Il 22 maggio 2020 iniziarono i lavori di restauro, portati a compimento anche grazie alla generosità dei fedeli.

Nell’avvicendarsi di parroci nella parrocchia di Sant’Andrea, è doveroso citare anche l’impegno dapprima di don Luigi Stendardo che diede il via ai lavori, e poi quello di don Salvatore Chiarello, l’attuale parroco, che ha seguito e partecipato alle varie fasi di realizzazione delle opere fino alla loro conclusione.

Durante la fase di rimozione della pavimentazione, sono venute alla luce strutture di antica origine, in particolare: un antico pavimento in cocciopesto, nelle prime due campate della chiesa; la presenza di un ossario murato con lastre di pietra; la fondazione in pietrame della muratura di fondo della chiesa (prima che venisse eseguito l’ampliamento del 1922); la presenza di un frantoio ipogeo scavato nella roccia che si sviluppa al di sotto della chiesa, la cui imboccatura è stata segnalata mediante la realizzazione di una botola nell’attuale pavimentazione.

Ogni elemento originario (mensa, tabernacolo, tele) è stato oggetto di attente operazioni di restauro a cura dei restauratori Ludovico Accogli e Alessandra Muci, che hanno riportato alla luce le decorazioni e le cromie originarie ricoperte e dimenticate.

Il 5 dicembre 2024, alla presenza del vescovo mons. Vito Angiuli, del sindaco Antonio De Donno e di tutta la comunità, la chiesa è stata riaperta al culto.

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