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Surano=Chinatown? Il sindaco Galati: “Investimenti irrinunciabili”

Hong Kong Market già inaugurato ed in piena attività, Casa Felice aprirà a giorni: entrambi frutto di investimenti cinesi sulla SS 275. Gli imprenditori insediati esternano tutto il loro malcontento

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ESCLUSIVA


Il parco commerciale di Surano si arricchisce di due nuovi grandi magazzini: l’Hong Kong Market già inaugurato e in piena attività e “Casa Felice”, di prossima apertura. La particolarità è che entrambi sono il frutto di investimenti cinesi nella zona industriale che si affaccia alla SS275 Maglie-Leuca. Sulla questione abbiamo intervistato il sindaco Carlo Galati (che è anche il commercialista di Hong Kong Market) che ci ha anche anticipato come potrebbero arrivare nuovi investimenti dall’estero in particolare fagli Stati Uniti e dalla Francia. E se per gli Amministratori dell’Hong Kong la zona aveva le giuste potenzialità per un investimento, gli imprenditori già insediati nel parco commerciale esprimono tutti i loro dubbi su come è stata gestita la vicenda.


Il sindaco Galati: “Investimenti irrinunciabili”

Ogni tipo di investimento ed ogni investitore a Surano è ben accetto”: lo dichiara senza mezzi termini il sindaco Carlo Galati infastidito dalle ultime polemiche dopo l’apertura di un supermercato di imprenditori cinesi e l’imminente apertura di un altro con la stesso matrice.  “L’Amministrazione comunale, gli uffici tecnici e lo sportello unico per l’attività produttiva del Comune”, prosegue, “non hanno potere discrezionale o decisionale in merito: quando le domande per l’apertura di una nuova apertura commerciale sono in regola per quanto concerne il versante amministrativo e quello tecnico urbanistico siamo tenuti a concedere le nuove autorizzazioni”. Fatta questa premessa il sindaco, però, ritiene che “ogni forma di investimento nella zona industriale sia da cogliere al volo, soprattutto in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo, bisogna saper cogliere le opportunità; se continuiamo a fare tutto ciò che facevamo prima le cose non cambieranno mai”. Per il primo cittadino nella vicenda ci sono parecchi aspetti positivi come “gli introiti nelle casse comunali, aspetto da non trascurare in un periodo di continui tagli; per la messa a punto di queste attività commerciali nuove, poi hanno lavorato tutte aziende locali con tutti i benefici che si possono immaginare per l’indotto”. Altro aspetto da non trascurare, almeno da Hong Kong, il centro commerciale già aperto, molti dipendenti sono del posto. “La maggior parte di loro sono persone di Surano, San Cassiano, Poggiardo ed altri paesi vicini. Questoi investitori in particolare sono da oltre 20 anni in Italia, non sono un clan chiuso, anzi; si sentono italiani a tutti gli effetti, perché noi non dovremmo considerarli allo stesso modo?”.


Per il sindaco i nuovi investitori hanno “una grande apertura imprenditoriale ed una formula a mio avviso vincente. Prima di definire l’insediamento in loco ci hanno fatto vedere altre realtà analoghe che fanno loro capo, sempre con tanti dipendenti italiani: si accontentano di un margine di guadagno minimo puntando sulla quantità e a quanto pare funziona. L’imprenditore cinese può piacere o meno ma è il mercato a fare la differenza ed il consumatore finale è libero di scegliere”. L’arrivo di imprenditori cinesi a Surano è stato una congiuntura favorevole o in qualche modo avete creato le premesse? “Abbiamo avuto un contatto preliminare con questi due gruppi di imprenditori cinesi; verificata la bontà degli investitori e attestato che tutto è in regola abbiamo accolto favorevolmente la loro voglia di investire nel nostro Comune. E questo pare abbia stimolato anche l’interesse di altri imprenditori internazionali…”. Il sindaco Galati si blocca quasi non avesse dovuto anticipare nulla e infatti davanti alla nostra insistenza si trincera dietro a ad un “non c’è nulla di definitivo, non è il caso di parlarne ancora”, salvo poi cedere al nostro pressing e ammettere che sono in piedi “trattative con due gruppi uno americano e l’altro francese”. Riscontri dagli altri imprenditori che erano già in loco? “Ancora no, è troppo presto. Le lamentele fino ad ora sono state più di ordine politico che commerciale, ci vorrà un po’ di tempo immagino prima di fare le opportune valutazioni. Non va bene invece la critica che vorrebbe questo ipermercato come altri già presenti danneggiare le piccole aziende che operano in paese. Sono tipologie diverse con clientele diverse e per nulla in concorrenza diretta”. È vero che lei è anche il commercialista del gruppo imprenditoriale di Hong Kong? “è vero ma questo non vuol dire nulla se non che potrebbe essere una maggiore garanzia di tutela della legalità”. Intanto per tutto il tempo che siamo stati all’ingresso di Hong Kong non si è mai fermata la processione per chiedere un lavoro. Ovviamente tutto dovrà scorrere nel pieno rispetto delle regole: “Le norme devono essere rispettate da queste nuove aziende esattamente come da tutti le altre, la provenienza etnica non può essere una discriminante. Nelle più grosse aziende italiane e mondiali troviamo capitali cinesi, persino il nostro calcio conservatore  si è adattato, con due squadre storiche come Inter e Milan finite nelle mani di un indonesiano e di un thailandese… Viviamo in un mondo che ha aperto le porte al mercato globale, non è il sindaco di Surano ad aver fatto chissà cosa di strano”.


Approfondimenti

Gli anni passano, le tradizioni cambiano, in meglio o in peggio?

Il problema è che il momento del divertimento, dello spettacolo, della pubblicità e del consumo sta divenendo prevalente rispetto al significato di ciò che si dovrebbe celebrare. Una volta vi era uno stretto legame tra il significato della celebrazione e gli eventi conseguenti..

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di Hervé Cavallera

Con le Festività di inizio novembre si è entrati nell’ampio periodo delle feste di fine anno con tutte le celebrazioni rituali che esse implicano. Ora, già da un remoto passato l’essere umano ha avvertito con perplessità la fine della bella stagione, l’allungarsi del buio nelle giornate e l’appressarsi del freddo.

Ed ha collegato la fine della stagione calda e luminosa con la fine di un ciclo, che non è soltanto quello solare, ma soprattutto quello della stessa vita. Ha colto cioè il senso del trapasso con tutte le incognite ad esso legate, sì da elaborare nel corso dei millenni dei riti di passaggio tra questa e l’altra vita oltremondana. Al tempo stesso, si è pensato di illustrare il cammino del tempo secondo calendari legati al ciclo solare e a quello lunare.

Così per diverse popolazioni dell’antichità, tra cui i Celti che risiedevano principalmente nel centro Europa, il transito tra un anno e l’altro era previsto con l’attuale 1° novembre e in quel giorno, essendo poco netta la transizione tra la luce e le tenebre, il mondo dei vivi si mescolava con quello dei morti e questi ultimi potevano riapparire.

Non a caso il 2 novembre, che seguiva Ognissanti, fu scelto come il giorno della commemorazione dei defunti ed è triste constatare come oggi tanti cimiteri monumentali siano praticamente abbandonati.

Ora, il primo calendario che unificò il mondo mediterraneo fu quello giuliano, ideato dall’astronomo greco Sosigene e divenuto operativo nel 46 avanti Cristo con Giulio Cesare.

Tale calendario rimase in vigore sostanzialmente sino al 24 febbraio 1582 quando papa Gregorio XIII, attraverso la bolla Inter gravissimas, lo sostituì con vari ritocchi con il calendario tuttora esistente detto appunto gregoriano.
Il mondo cristiano ha poi inserito varie ricorrenze a tutti note, fissando le feste di precetto, ossia quelle in cui i fedeli sono particolarmente tenuti alla partecipazione della messa.

Per i cattolici sono: tutte le domeniche; Capodanno (1° gennaio); Epifania (6 gennaio); Assunzione di Maria Vergine (15 agosto); Tutti i Santi (1° novembre); Immacolata Concezione (8 dicembre); Natale (25 dicembre).
Accanto alle feste religiose ogni Stato ha aggiunto per suo conto le feste civili, tra le quali in Italia ricordiamo almeno il 1° maggio (festa dei Lavoratori) e il 2 giugno (festa della Repubblica).

È evidente che se la divisione del tempo in anni, mesi, settimane, giorni, corrisponde ad una esigenza di dare ordine in una realtà ciclica (il rinnovarsi delle stagioni), il concetto di festa si collega, per l’aspetto civile, ad un evento di cui si è particolarmente orgogliosi, e, per quello religioso, è volto ad onorare la Divinità e i Santi.

Sotto tale profilo la festa sia religiosa sia civile non è da intendersi come una vacanza, ma come una celebrazione. Certo nei giorni festivi non si lavora, ma essi non si dovrebbero intendere come meramente vacanzieri.

Festa o vacanza?

Al contrario, dovrebbero servire a raccogliere i componenti di una comunità, quotidianamente intenti ad attività differenti, in uno spirito celebrativo comune.

Una comunanza soprattutto spirituale che può naturalmente trovare un momento gioioso particolarmente nei pasti che una volta erano frugali per i più e ai quali si riusciva a fare qualche eccezione nei giorni di festa.
Così a Natale si poteva arricchire la tavola con il panettone o il pandoro, come nel cenone di Capodanno si mangiavano lenticchie (ritenute ben auguranti) e cotechino.

Sono solo pochi esempi di cibi per così dire “nazionali”, mentre ogni regione aveva (e in gran parte ha) i suoi piatti tipici. Per tale aspetto, nelle feste (e soprattutto in quelle religiose) il sacro si mescola col profano, la speranza del premio ultraterreno con il buon piatto, il senso della fratellanza spirituale con quello della buona compagnia. In ogni caso si percepisce o si dovrebbe percepire il riconoscimento del sacro confermato dalla grazia di star bene.

È così ancora oggi? Non proprio. Nella nostra società si è imposto e si va imponendo un modo di essere sempre più materialistico e consumistico. L’esempio più vistoso è Halloween, la notte di Tutti i Santi, che alla luce di evidenti influenze anglosassoni, è divenuta la festa del macabro e del soprannaturale in una atmosfera neopagana e consumistica. Che dire poi di prodotti come il panettone o la colomba che si cominciano a vendere mesi prima di Natale o di Pasqua?

Le due stesse massime festività della Cristianità (la nascita di Cristo e la Sua resurrezione) passano quasi in second’ordine nella loro specificità di fronte alle spese, ai doni e a quant’altro di godereccio possa esistere. Anche in questo caso occorre precisare che non vi è nulla di male nel mangiare il panettone e la colomba, che è bene brindare purché non si ecceda, che qualche bambino può ben dire Trick or Treat (Dolcetto o Scherzetto).

Il problema è che il momento del divertimento, dello spettacolo, della pubblicità e del consumo sta divenendo prevalente rispetto al significato di ciò che si dovrebbe celebrare. Una volta vi era uno stretto legame tra il significato della celebrazione e gli eventi conseguenti (si pensi alle processioni, ai piatti particolari e così via), ora tutto si va modificando e si impone solo la dimensione del consumo e dello spettacolo.

Certo, il mondo da sempre va cambiando ed è così, ma il mutamento positivo è quello che sa conservare i valori e mettere da parte l’inutile; in tal modo una civiltà cresce e si sviluppa e le persone maturano. Che le cosiddette tradizioni rimangano solo per attrarre turisti o per generare consumi certamente non è positivo e rischia di ridurre tutta la realtà al semplice godimento – non sempre corretto né di tutti – dell’immediato.

Quello che veramente oggi dovrebbe contare, in una società dove soffiano pericolosi venti di guerra e l’Occidente è pervaso da un edonismo individualistico, è il recupero della dimensione spirituale che accomuna gli animi e li rende aperti al dialogo e agli affetti disinteressati.

E da tempo immemorabile tale è stato il compito della famiglia, della scuola, della Chiesa, istituzioni che attraversano un momento non facile, ma nel rilancio della loro funzione risiede la salvezza di un Occidente che va spegnendosi nelle luci artificiali dei consumi.

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Mesciu Pippi, custode dell’arte edilizia

Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte

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In nostro approfondimento sulla tradizione del costruire salentino si chiude con una figura storica dell’edilizia salentina.

I più attempati si ricorderanno certamente di Mesciu Pippi.

Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, anche se all’anagrafe risulta Miggiano, di cui il suo paese, all’epoca, era ancora frazione. A 15 anni iniziò a lavorare in cantiere e, da allora, l’arte edile è diventata la sua vita.

Tanto da essere considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte.

La sua storia è riportata nel libro “Il cantiere edile come biografia e memoria”, scritto dall’architetto Venanzio Marra, figlio di Raimondo Giuseppe.

Mesciu Pippi cita il suo maestro: «È stato Donato De Matteis, un abile costruttore di Montesano. Poi ho avuto tanti altri maestri, tra cui Ippazio Morciano, mesciu Pati, di Tiggiano. Dopo aver lavorato con lui, nel 1973, ho dato vita alla mia attività».

Nonostante sul finire degli anni 70 stesse cambiando il modo di costruire passando dalle strutture interamente in muratura, con copertura a volta, ai sistemi in cemento armato, con le strutture puntiformi e i solai, Mesciu Pippi è rimasto legato alla tradizione: «Il passaggio dalle costruzioni tradizionali a quelle moderne non è stato indolore. Il cantiere tradizionale veniva sostituito da un cantiere in cui l’esecuzione delle opere diveniva più veloce, aumentava la standardizzazione della componentistica edile. Ma spesso si perdeva parte della sapienza costruttiva e le maestranze diventavano sempre più dequalificate. Sin dal 1975, quando capitava di demolire una volta (per esempio a stella) per costruire una struttura moderna con i solai piani, pensavo che i nuovi edifici non sarebbero durati così a lungo. Insomma, si demolivano strutture fatte ad arte per sostituirle con altre che non davano la stessa garanzia».

PER L’INTERVENTO DEL CONSERVATORE – RESTAURATORE GIUSEPPE MARIA COSTANTINI CLICCA QUI

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PER APPROFONDIRE SULLE VOLTE A STELLA CLICCA QUI

PER APPROFONDIRE SU MURETTI A SECCO E PAJARE CLICCA QUI

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Muretti a Secco e Pajare

Costruire salentino: Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo “riporta in vita” le pietre

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Con Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo siamo al quarto capitolo del nostro approfondimento sulla tradizione dell’edilizia salentina (dopo l’intervento del Conservatore-Restauratore Giuseppe Maria Costantini, il Coccio Pesto e le Cementine e le Volte a Stella)

Dario ha fatto della sua passione un lavoro.

Da quasi 25 anni la sua mission è restaurare muretti a secco e pajare che, ipse dixit, «ricostruisco com’erano all’origine».

Anche Dario conferma che la «richiesta di lavori tradizionali è alta sia perché il risultato è indubbiamente bello da vedere sia perché, per questo tipo di lavori, ci sono possibilità di accedere a specifici finanziamenti. Il ripristino dei muretti a secco, in modo particolare, è molto richiesto».

Qual è in particolare il tuo lavoro?

«Riportare il tutto com’era un tempo con lo stesso tipo di lavorazione. Da non confondere con ciò che fanno taluni, utilizzando metodi non indigeni che danno un risultato finale diverso rispetto a quello che erano i muretti a secco originali del Salento, rovinandone peraltro l’estetica».

In particolare, a cosa ti riferisci?

«All’utilizzo del calcestruzzo e al mancato utilizzo della terracotta. Sia per le pajare che per i muretti ci tengo farli “a secco”, proprio come si faceva una volta. Per questo chiedo che le pietre non mi arrivino spaccate, ma esattamente come sono state scavate. In modo che io possa dare consistenza al tutto con le pietre grosse, senza utilizzare il cemento».

Il cemento non lo utilizzi affatto?

«Tendo a farne a meno. In qualche occasione sono costretto a farlo perché il committente vuol farci passare la corrente elettrica. Così, per evitare i crolli e cautelare i tubi, uso il calcestruzzo in tre strati: base, centrale e superiore perché ci metto il cordone finale a forma di “A”, per scaricare il peso al centro del muro e dare solidità a tutta la struttura».

Veniamo ai costi. Per un muretto a secco qual è il costo medio?

«Si parte da 35 euro fino ad arrivare a 90 euro a metro lineare. Dipende dalla richiesta. C’è chi vuole un muretto praticamente liscio, a fuga chiusa: in questo caso, la lavorazione richiede maggiori tempi e maggiori costi. Se uno vuole un muro che sia “uno specchio”, senza fughe, vuol dire che la pietra andrà lavorata nel minimo dettaglio e quindi il prezzo sarà più alto. Se, invece, si preferisce il metodo originale, con il minimo utilizzo del martello sulla pietra grezza locale, il costo scende».

E per le pajare? Se, ad esempio, dovessi rimetterne in piedi una di 50 metri quadri?

«Per una pajara di 50 mq, compresi gli esterni (si calcola così, NdR), occorreranno in media 8mila euro, sempre ricostruendola esattamente come era una volta, ovviamente tutta a secco».

Pajare riportate all’origine tranne che per un particolare: «Nel ricostruirla alzo l’apertura fino a due metri, due metri e 15 centimetri, perché in origine l’ingresso alla pajara era molto basso e quindi scomodo»

Qualche tempo fa Dario Profico ha fatto capolino su Rai 3:

«Erano affascinati dalla nostra storia, anche abitativa. Qualche volta è necessario che arrivino da fuori Salento per ricordarci ciò che abbiamo. Non sarebbe male stessimo più attenti a quelle che sono le nostre tradizioni».

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