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News & Salento

Test universitari anticipati: “Che follia!”

Il malcontento degli studenti

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di Stefano Verri

C’era una volta lo studente italiano che, terminata la maturità, si scrollava di dosso una delle più ingombranti preoccupazioni, madre di malesseri e depressioni spesso inutili, causate da un pensiero che assillava e gettava nello sconforto anche il più preparato e impassibile dei “secchioni del primo banco”. C’era una volta il diplomato, con gli occhiali enormi e i capelli incolti, i pantaloni a zampa e la maglia nei jeans a vita alta, che usciva esultante dal liceo con i libri in mano, con una gran voglia di lanciarli in aria e gridare “è finitaaaaa!!!”, già proiettando la mente verso un’estate di meritato riposo e di esperienze indimenticabili. Il tempo avrebbe fatto il suo corso. C’era una volta il ragazzo che sceglieva il suo destino, in base al proprio senso di responsabilità, alle proprie passioni e alla propria volontà di arrivare fino in fondo, convinto e consapevole della sua decisione: continuare gli studi o cercare un buon lavoro? O continuare a vagabondare? Tutto dipendeva da lui (o da lei), ma nessuno gli avrebbe impedito di iscriversi a questa o quella facoltà. Nessuno avrebbe distrutto il suo sogno! Sembrava il Paradiso… Infatti: università troppo affollate, tanto da non reggere fisicamente la presenza eccessiva di laureandi, sessioni d’esame rapidissime per l’insostenibile numero di candidati, ergo un’impreparazione diffusa condussero, a fine millennio, all’approvazione dell’odiatissima legge 264, che da quattordici anni è una delle cause dell’infelicità giovanile e adolescenziale. Quantomeno per ciò che concerne i “sognatori”, aspiranti medici, architetti, infermieri, ingegneri… insomma i professionisti del domani. Ci siamo capiti, parliamo di quel provvedimento ministeriale che rese obbligatori i test preselettivi di ingresso alle facoltà, da allora a numero programmato. L’estate che intercorre tra l’Esame di Maturità (tappa fondamentale per ogni studente, altrimenti non avrebbe quel nome così altisonante) e i test d’ammissione all’Università è il clou della vita da teenager, il periodo più torrido, e non solo a causa delle temperature agostane. Non tanto perché ci si gioca una buona fetta di futuro, ma anche perché la saldezza di nervi e la freddezza nel gestire situazioni critiche e sopportare stress psico-fisico sono messe a dura prova. È il corso naturale delle cose terminare l’esame di stato e catapultarsi sui libri a ripetere, data per acquisita una preparazione di base da cui non si può prescindere, a provare, sbagliare e riprovare simulazioni di quiz a risposta multipla prima del giorno fatale, generalmente a inizio settembre. Due mesi di sacrifici e di sudate, in cui la pressione di familiari e “fratelli maggiori” non fa altro che aumentare timori e paura di non farcela. Aggiungete anche la televisione, che è sempre accesa e parla di “futuro inesistente” e “disoccupazione giovanile in aumento” e le difficoltà di (auto)controllarsi diventano immani. Come se tutto ciò non bastasse, arriva come un fulmine a ciel sereno la nuova “perla” di Francesco Profumo, ministro dell’Istruzione. Test d’ammissione ai corsi di laurea di medicina e odontoiatria, veterinaria e architettura anticipati al 23, 24 e 25 luglio 2013. Decisione resa pubblica in data 15 febbraio, appena cinque mesi prima. Il risultato? Molti studenti si troveranno a dover affrontare due esami di una certa caratura, quello di maturità e quello per l’ammissione alla facoltà, in poco più di una settimana o comunque in un tempo ridottissimo.

Preparare un test richiede uno studio approfondito, che non può accavallarsi né sormontare quello scolastico ordinario, perché uno dei due, se non entrambi, sarebbe senza dubbio sacrificato. È grottesco pensare che alcuni ragazzi tenteranno la fortuna non conoscendo ancora l’esito della maturità! Non finisce qui: per il prossimo anno scolastico  la data dei test preselettivi è ulteriormente anticipata all’8 aprile 2014, ovvero… durante il periodo di lezione! Attuali frequentanti le classi quarte sono avvisati…

“Un modo per europeizzarci. È inammissibile che le lezioni in Italia inizino con due mesi di ritardo. Questo anticipo è la via per un allineamento di date con gli altri stati dell’Europa. Gli studenti italiani capiranno”: questo il commento del Ministro immediatamente successivo alle proteste degli alunni interessati in prima persona da questo fuoriprogramma. Profumo, dall’alto della sua esperienza e del suo “sapere tecnico”, tipico del governo dei professori, non ha però preso in considerazione l’incongruenza della calendarizzazione scolastica italiana rispetto a quella di altri stati dell’Unione, che si avvalgono di un sistema di orientamento preuniversitario consolidato e tempestivo (ancora assente in Italia), tale da permettere di svolgere i test di ammissione già durante l’anno scolastico, senza intoppi.  Non sarebbe sbagliato pensare a una proiezione già a partire dagli ultimi anni del liceo anche nel nostro Paese, dimodoché l’alunno sia già predisposto mentalmente alla dura selezione. Ma cambiare le carte in tavola a pochi mesi di distanza è assurdo.

“Non è una buona scusa pensare di non potercela fare a causa di questa disposizione ministeriale”, sol perché “tutti i candidati partiranno dalle stesse condizioni”? E’ vero. Ma il rammarico resta, perché sarà comunque un risultato falsato. Assisteremo a una sorta di graduatoria al ribasso. I candidati, giocoforza, oltre a far leva sulle proprie capacità e intuizioni, dovranno ben sperare che gli altri commettano più errori. Se è questa la strada per la tanto agognata “europeizzazione”, come inizio non c’è male. Passano gli anni, eppure ogni Governo, imperterrito, prosegue nella sua campagna pseudo-migliorativa dell’istruzione italiana. E l’ingiustificabile “cura” del ministro Profumo non ne è che la conferma.


A riguardo, esemplificative sono le opinioni di alcuni diciottenni salentini, all’ultimo anno del liceo, che non si sono risparmiati in merito alla soluzione proposta dal ministro Profumo.


Silvia, che proverà già dal 15 aprile, col senno di poi, a guadagnare l’accesso al corso di Laurea in Medicina in lingua inglese non le manda a dire: “Assolutamente un modo per fregarci. Non avremo il tempo per ripetere! Io la vedo così: potrebbe essere un modo subdolo per favorire le iscrizioni alla privata (Cattolica del Sacro Cuore, ndc) che nella stessa data o il giorno prima ha indetto il colloquio orale per l’accesso”. Non osiamo immaginare quali cattivi pensieri caldeggeranno nella testa di chi dovesse trovarsi a dover scegliere fra il colloquio orale alla Cattolica e i test alla pubblica…

Gianmarco ha le idee chiare: vuole fare medicina. Ma non nasconde la sua perplessità, mista a rabbia: “A dir poco sovrumano prepararsi in così poco tempo. Non possiamo nemmeno pensare di trascurare la maturità, perché il voto finale incide sull’ammissione, sebbene in minima parte (riforma Fioroni, ndc). Ci avrebbero dovuto avvisare con largo anticipo, non a febbraio, quando i tempi di studio sono già programmati. Il ritardo dell’inizio delle lezioni? Meglio che rischiare di non entrare…”.


Sara, aspirante medico: “Non ho parole. Devono complicarci la vita sempre. Per loro è facile scegliere una data piuttosto che un’altra. Una decisione inutile, non risolverà nulla. Noi ci stiamo giocando il futuro e i nostri sogni. Di questi tempi è difficile costruirci un domani. Sarà un ostacolo in più da superare di cui volentieri avremmo fatto a meno…”.

Gabriele, ancora al vaglio dei corsi di laurea: “Non sono d’accordo. I maturandi saranno afflitti da uno stress mentale incredibile che potrebbe causare il non raggiungimento degli obiettivi prefissati”.


Francesca ha un sogno, studiare medicina: “è inconcepibile che ci sia così poco tempo tra un esame e un altro. Impensabile. Entrare non è facile, già si sa. I test richiedono una preparazione adeguata e non superficiale. Il nostro ingresso è così ulteriormente compromesso e questo non mi va giù”.

Caro futuro ex Ministro, le basta così?

Stefano Verri


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SIULP Lecce: “Più sicurezza per donne e uomini in divisa”

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Riceviamo e pubblichiamo.

“Continua senza sosta la scia di aggressioni alle donne ed agli uomini in divisa, nella stessa giornata non abbiamo fatto in tempo a tirare un respiro di sollievo per lo scampato pericolo dei due poliziotti affrontati a Padova da un individuo di nazionalità nigeriana armato di ascia, che a poche ore dall’accaduto l’episodio si è ripetuto nel centro cittadino di Lecce, dove un cittadino extracomunitario ha aggredito un Poliziotto senza un apparente motivo ovvero per il solo fatto di indossare un’uniforme.”

E’ quanto afferma in una nota Mirko BRAY, Segretario Generale del SIULP Lecce, a seguito della vile aggressione avvenuta ai danni di un Poliziotto nelle prime ore della scorsa serata ad opera di un cittadino extracomunitario poi arrestato per tentato omicidio.
“La nostra impressione è che la Polizia di Stato stia pagando lo scotto della grave carenza negli organici, problematica che in questa Provincia ci penalizza particolarmente, al contempo emerge nitidamente la necessità di introdurre tutti quegli strumenti che consentano ai tutori dell’ordine pubblico di operare in condizioni di sicurezza, in particolare ci riferiamo all’ampliamento delle dotazioni dei Taser, alla fornitura delle bodycam e dei giubbini tattici antitaglio. Non solo! Chiediamo anche delle tutele legali differenti rispetto a quelle in vigore che giudichiamo eccessivamente garantiste nei confronti di chi delinque a scapito della gente onesta e di chi opera per la legalità e il bene comune. Avvertiamo un’eccessiva tolleranza verso chi usa violenza contro un poliziotto, che sia in ordine pubblico o in un intervento di polizia, di contro il solo sospetto di un possibile eccesso nelle nostre reazioni, che scaturiscono sempre a contenimento delle violenze di ogni genere che siamo chiamati a fronteggiare, è sufficiente ad innescare il c.d. “atto dovuto” che da inizio a quella che oggi in Italia è la vera e propria pena: ovvero, l’iter processuale. Auguriamo al nostro collega una pronta guarigione nella certezza che il consueto spirito di servizio e l’indubbia abnegazione, lo spronerà a superare nuovamente quanto già vissuto in passato.”

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“Le medaglie degli eroi” in mostra a Lucugnano

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Riceviamo e pubblichiamo.

Dal 24 dicembre al 6 gennaio 2025, presso Palazzo Comi a Lucugnano, la raccolta di medaglie italiane ed estere a cura di Collezione Militaria Scolozzi dal titolo “Le medaglie degli eroi”.

Info al 3888960203.

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La benedizione di Monsignore: “Santificate le feste”

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di Luigi Zito
Intervista di fine anno al Vescovo della Diocesi di Ugento – Santa Maria di Leuca, Mons. Vito Angiuli. Oltre che sul significato del Natale ormai prossimo, Monsignore ha parlato volentieri di molti temi di attualità.

Angiuli sostiene che occorre «educare giovani e adulti a coltivare valori positivi come la comunione, la compagnia, la stima, la vicinanza, il lavoro di squadra, il senso di appartenenza».
Sulle festività imminenti: «Fare festa è una straordinaria opportunità per riscoprire il senso della vita e ricucire i rapporti di aggregazione e di riappropriazione del valore della comunità».
Dopo 14 anni di attività pastorale nel sud del sud invita, infine, tutti noi a «cogliere il valore delle trasformazioni in atto e assecondare il corso degli eventi per uno sviluppo economico, sociale e culturale dell’intero territorio».

 
Eccellenza, da tanti anni svolge la sua attività pastorale in Salento, in particolare nella Diocesi di Ugento – Santa Maria di Leuca: “la porzione del popolo di Dio”, come recita il codice di diritto canonico, «affidata alle cure pastorali del Vescovo”, è cambiata in questi 14 anni?

«In questi anni, ho compreso meglio la storia e la cultura di questo territorio che impropriamente si definisce “estremo lembo” del Salento, quasi fosse una realtà marginale. I grandi cambiamenti storici e politici che si stanno verificando ai nostri giorni hanno riproposto la centralità del Mediterraneo e, dunque, anche il Sud ha riacquistato una sua importanza. Bisognerebbe, pertanto, cogliere il valore delle trasformazioni in atto e assecondare il corso degli eventi per uno sviluppo economico, sociale e culturale dell’intero territorio. Sotto questo profilo, noto un atteggiamento ambivalente. Se da una parte, si manifesta una nuova forza propulsiva e una rinnovata capacità imprenditoriale, dall’altra rimangono ancora irrisolte alcune questioni in riferimento alla necessità di migliorare le infrastrutture necessarie per un vero sviluppo e soprattutto a promuovere un cambio di passo di tipo culturale. Mi riferisco alla necessità di “fare rete” e di lavorare con una visione più condivisa e una programmazione più generale aperta al bene comune superando la perdurante mentalità individualista, preoccupata solo del proprio interesse contingente. È questo l’aspetto che sottolineo anche in ambito ecclesiale, consapevole che la Chiesa ha un ruolo non secondario nel realizzare una nuova visione e una nuova modalità di stare nella storia e nelle vicende del tempo presente. L’esperienza della “Carta di Leuca”, la promozione dei “Cammini di Leuca” ed altre iniziative ecclesiali che ho promosso in questi anni anche a seguito del riconoscimento da parte dell’Europa del percorso della “via Francigena” da Canterbury a Leuca, dovrebbe servire a sprovincializzare il nostro territorio e a proiettarlo in un contesto più ampio. Il quadro, come si vede, presenta aspetti positivi, ma richiede un ulteriore sforzo per pensare in grande senza impantanarsi o crogiolarsi nelle piccole incombenze tipiche di uno sguardo poco lungimirante e appiattito sul presente».

In questo periodo di Avvento, del Natale, oltre a “Santificare le feste”, cosa consiglierebbe ai fedeli? Cosa significa il Natale oggi? Quanta umanità si respira nel mistero del Natale? Cosa si sta perdendo?

«Intanto mi preme ribadire che “santificare le feste” non è un aspetto secondario. Le singole persone e le società nel loro insieme non possono vivere senza l’anelito alla gioia che promana dalla “festa”. Fare festa è una straordinaria opportunità per riscoprire il senso della vita e ricucire i rapporti di aggregazione e di riappropriazione del valore della comunità. Consiglierei a tutti, credenti e non credenti, di vivere la gioia della festa, sia quella religiosa sia quella civile e sociale come momento per uscire dall’individualismo e sperimentare il gusto di aprirsi al senso del mistero e del trascendente oltre che di intrecciare rapporti umani più profondi e sinceri. In fondo è questo il senso più vero del Natale.
Come ho scritto in un recente articolo, il Natale è la festa nella quale si opera il “meraviglioso scambio” tra Dio e l’umanità: il Verbo eterno viene nel mondo e gli uomini riscoprono il valore dell’umano quando è aperto al divino. Il Natale è l’esaltazione dell’umanità non chiusa in sé stessa, ma abitata dall’amore di Dio che si fa carne e vive la stessa esperienza degli uomini. In altri termini, la festa del Natale chiede a tutti di vivere concretamente da fratelli che si rispettano e si abbracciano e non da nemici che si combattono o da estranei che si ignorano!
In un mondo lacerato da guerre, attraversato da profondi contrasti dove aumentano le disparità sociali, crescono le diverse forme di povertà, si esasperano i sentimenti di odio, è proprio il valore della fraternità che bisogna rimettere al centro».

Natale, luci sfavillanti, regali, tavole imbandite, gioia e convivialità; per tanti, però, le festività natalizie sono il periodo più stressante dell’anno: come sono cambiate le relazioni umane? Qual è il suo pensiero?

«È vero che a Natale si mette in moto una sorta di meccanismo che privilegia l’esteriorità nelle sue diverse forme.
Questa ricerca a tutti i costi di apparire finisce per stancare e per accrescere il senso di solitudine, di distanza e di estraneità.
Mentre sarebbe auspicabile che, in sintonia con il messaggio più profondo delle feste natalizie, si privilegiassero altri aspetti: la cura dell’intimità, la ricerca de silenzio, la promozione di relazioni interpersonali significative.
Sarebbe anche il tempo opportuno e per trasmettere ai bambini e ai giovani i valori profondi come la generosità, la gratitudine e l’amore per la famiglia, il valore della condivisione e del legame familiare, della    solidarietà quale forza che incoraggi a mettere in atto gesti di gentilezza e di assistenza verso coloro che sono nel bisogno e a riflettere sulla pace e sulla riconciliazione tra i popoli».

La sua Diocesi si spende tanto per gli altri, i poveri, da quando ne ha ricordo sono aumentate le “sofferenze”, che bilancio ne trae?
La sua è una “Chiesa col grembiule”, come esortava don Tonino, o come descriverebbe la sua Chiesa?

«Con il crescere dei problemi economici e sociali sono anche aumentate le attività che la Caritas diocesana e le parrocchie hanno messo in atto per venire incontro alle diverse esigenze delle persone più povere e più bisognose. Tuttavia, cerchiamo di considerare non solo le urgenze materiali, ma anche le “povertà spirituali” che sono anch’esse in aumento e che impoveriscono il tessuto relazionale: la solitudine, la sfiducia, lo scetticismo, la diffidenza, lo scoraggiamento, la mancanza di speranza. Cerchiamo cioè di farci carico di un compito più grande: educare giovani e adulti a coltivare valori positivi come la comunione, la compagnia, la stima, la vicinanza, il lavoro di squadra, il senso di appartenenza. Cerchiamo di promuove lo “spirito di famiglia”. Per questo consideriamo la chiesa come una “casa”, dove tutti possono sentirsi accolti, compresi, aiutati. La casa è il luogo delle relazioni, del reciproco riconoscimento, dell’aiuto vicendevole, dello scambio dei doni.  Al fondo del nostro impegno c’è il desiderio di imitare il “buon samaritano” e, pertanto, di trasformare la chiesa non solo nel luogo delle celebrazioni liturgiche, ma anche nella “locanda della fraternità” dove vige uno spirito di cura, di compassione e di consolazione».

LA VIRTù DELLA SPERANZA

Eccellenza, le chiedo un’esortazione sul Natale, su questo periodo così ricco di avvenimenti, su quello che vuole trasferire ai nostri lettori.

«Vorrei soprattutto esortare tutti a riappropriarsi della virtù della speranza.
Non una speranza di piccolo calibro o soltanto l’espressione di un sentimento passeggero e incerto, ma una speranza che non delude, sostiene il cammino della vita, infonde coraggio e desiderio di non arrendersi di fronte alle difficoltà e alle contraddizioni della vita.
Sperare significa non temere, non lasciarsi prendere dalla paura, ma vivere con gioia e camminare con serenità incontro al futuro.
“Pellegrini nella speranza” è il tema del Giubileo del 2025.
Ciò significa tenere accesa la fiaccola della fiducia e fare di tutto perché ognuno riacquisti la forza e la certezza di guardare al futuro con animo aperto, cuore fiducioso e mente lungimirante.
I simboli tipici del Giubileo sono il camminare da pellegrini e il passaggio della Porta Santa.
Esprimono la decisione interiore di prendere in mano qualche aspetto della propria vita per renderlo nuovo, riconciliato, trasformato, aperto, ospitale.
Abbiamo bisogno di convertirci a una mentalità più evangelica, generativa di un nuovo umanesimo e di un nuovo rinascimento personale e comunitario, sociale e culturale.
Essere pellegrini di speranza vuol dire riappropriarsi della responsabilità e della gioia di servire ogni uomo facendosi prossimo ad ognuno.
La speranza è una luce nella notte, un dono e un compito, l’attesa di qualcosa che riempie il cuore di gioia. Sperare è assaporare la meraviglia di essere amati, cercati, desiderati da un Dio che non si è rintanato nei suoi cieli impenetrabili, ma si è fatto carne e sangue, storia e giorni, per condividere la nostra sorte. Auguro un Natale che rafforzi in tutti la gioia della speranza».

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