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Gagliano del Capo

Un Trofeo Ciolo strepitoso

“E’ stata la migliore edizione di sempre tra le 12 finora organizzate: il percorso era perfetto, di un grado alto di difficoltà e con caratteristiche tecniche che hanno soddisfatto i requisiti richiesti dalla WMRA per
gare internazionali”

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Si è conclusa ieri la kermesse sportiva nel Comune di Gagliano del Capo. Il risultato, a detta delle autorità e dei tecnici, è stato strepitoso. Prima un mondiale di corsa in montagna e a seguire la 6ª edizione del Trofeo Ciolo. Con quest’ultimo, che ha visto quasi 400 atleti provenienti da tutta la regione per prendere parte ad uno dei più attesi appuntamenti che ogni anno l’Asd Capo di Leuca capitanata da Luca Scarcia organizza, si è concluso il weekend del mountain running. Sabato scorso ha preso il via la Youth Cup 2017, realizzata in collaborazione con la Regione Puglia e Puglia Promozione, valevole per il titolo mondiale di corsa in montagna under 18 che ha stravolto ogni previsione confermando la presenza di ben 16 nazioni mentre domenica 25 giugno è stata la volta del consueto Trofeo Ciolo, presentati da Federica Costantini e Antonio Tau.

Munzel Wolfgang, delegato tecnico della Federazione Mondiale sintetizza con chiarezza l’essenza di questo mondiale: “E’ stata la migliore edizione di sempre tra le 12 finora organizzate: il percorso era perfetto, di un grado alto di difficoltà e con caratteristiche tecniche che hanno soddisfatto i requisiti richiesti dalla WMRA per

gare internazionali. Salite impegnative su terreno arduo, discese veloci con cambi direzione molto tecnici e allunghi di asfalto hanno rivelato un tracciato da mondiale. L’organizzazione impeccabile della gara, l’accoglienza degli atleti, le attività ricreative in programma che hanno favorito l’interazione e la socializzazione fra i vari team e il contesto paesaggistico di estrema bellezza come quello del Salento hanno fatto la differenza per un’esperienza più unica che rara quale quella di correre sul mare”.


Molti dei tecnici, alcuni membri del comitato della WMRA e i giovani atleti stanno già programmando le loro prossime vacanze in Salento. Grande sorpresa hanno suscitato le cerimonie di apertura e di chiusura della manifestazione: la prima, a suon di Pizzica, ha visto sfilare tutte le nazioni lungo il centro storico di Gagliano del Capo fino al grazioso anfiteatro “vista mare”; le premiazioni, invece, si sono tenute nella splendida cascata Monumentale di Santa Maria di Leuca, aperta per l’occasione e annoverata nei giorni scorsi tra le 15 cascate più belle d’Italia.

Il presidente della WMRA Bruno Gozzellino, trattenutosi appositamente nel Salento per presiedere al 6º Trofeo Ciolo ha dichiarato “Avevo già intravisto le potenzialità dell’Asd Capo di Leuca e del territorio salentino quando è avvenuta l’assegnazione del mondiale under 18 ma ora ne ho definitivamente la prova: il test per il Mondiale Master 2019 è ampiamente superato, ora non resta che attenderne l’esito”.


Ecco i podi della sesta edizione del Trofeo Ciolo:

ASSOLUTI UOMINI: 1 Marchetti Dario – 1h02:52, 2 Pellico Andrea – 1h08:39, 3 Tundo Gianluca – 1h08:51

ASSOLUTI DONNE: 1 Camassa Alessandra – 44:59, 2 Orlando Anna – 49:39, 3 Ricciardi Maria Beatrice 57:30

UOMINI: JM Marchetti Dario – 1h02:52, SM Tundo Gianluca – 1h08:51, SM35 Roberto Pietro – 1h25:27, SM40

Chiriatti Giovanni – 1h17:24, SM45 Schirinzi Luciano – 1h18:46, SM50 Marsali Redouane – 1h24:50, SM55

De Mori Claudio – 1h33:01, PM Schirinzi Attilio Donato – 2h03:41.

UOMINI SM60 e oltre: sm 60 Minsgallo Salvatore 32:08, sm 65 Guido Cosimo – 36:04, sm 70 Stanga Roberto – 39:13

DONNE: SF Maiolino Valentina – 1h06:58, SF35 Mongelli Lidia – 57:52, SF40 Stano Mimma – 1h09:44, SF45

Caputo Giovanna – 1h13:36, SF 50 Bizzarra Angela – 1h20:24, SF 55 Gargiulo Maria – 1h19:01, SF60 Camassa

Alessandra – 44:59, SF65 Ria Vita – 1h10:49, SF70 Farina Antonietta – 1h49:08, SF75 Saracino Palmira – 1h15:44

SOCIETÁ: 1 A.S. Action Running Monteroni. 2 Podistica Copertino, 3 Tre Casali San Cesario.


Cronaca

Serata brava, 17enne finisce in ospedale in coma etilico

Una sbronza nella notte tra sabato e domenica e poi il malore. È accaduto a Gagliano del Capo, dove il ragazzo era arrivato da un paese vicino. Trasportato in ospedale, ora è fuori pericolo

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Nella notte tra sabato e domenica un 17enne si è sentito male a Gagliano del Capo dopo aver trascorso la notte con amici.

Il ragazzo è svenuto nei pressi del campetto delle case popolari dopo l’una di notte.

L’allarme dei sui coetanei ha fatto giungere sul posto i sanitari del 118 che hanno provveduto al trasferimento d’urgenza presso il vicino ospedale di Tricase.

Gli esami hanno subito confermato come il ragazzo avesse alzato il gomito: il suo tasso alcolemico, infatti, era molto superiore agli standard di normalità.

Il 17enne residente, in un comune vicino a Gagliano del Capo, non corre pericolo di vita anche se ha passato la notte in terapia intensiva nel reparto di rianimazione per smaltire la sbronza.

Resta sotto controllo in ospedale ma la situazione dovrebbe presto normalizzarsi e rendere possibili le dimissioni.

Sulla vicenda farà le sue valutazioni la Procura dei minori di Lecce.

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Approfondimenti

Muretti a Secco e Pajare

Costruire salentino: Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo “riporta in vita” le pietre

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Con Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo siamo al quarto capitolo del nostro approfondimento sulla tradizione dell’edilizia salentina (dopo l’intervento del Conservatore-Restauratore Giuseppe Maria Costantini, il Coccio Pesto e le Cementine e le Volte a Stella)

Dario ha fatto della sua passione un lavoro.

Da quasi 25 anni la sua mission è restaurare muretti a secco e pajare che, ipse dixit, «ricostruisco com’erano all’origine».

Anche Dario conferma che la «richiesta di lavori tradizionali è alta sia perché il risultato è indubbiamente bello da vedere sia perché, per questo tipo di lavori, ci sono possibilità di accedere a specifici finanziamenti. Il ripristino dei muretti a secco, in modo particolare, è molto richiesto».

Qual è in particolare il tuo lavoro?

«Riportare il tutto com’era un tempo con lo stesso tipo di lavorazione. Da non confondere con ciò che fanno taluni, utilizzando metodi non indigeni che danno un risultato finale diverso rispetto a quello che erano i muretti a secco originali del Salento, rovinandone peraltro l’estetica».

In particolare, a cosa ti riferisci?

«All’utilizzo del calcestruzzo e al mancato utilizzo della terracotta. Sia per le pajare che per i muretti ci tengo farli “a secco”, proprio come si faceva una volta. Per questo chiedo che le pietre non mi arrivino spaccate, ma esattamente come sono state scavate. In modo che io possa dare consistenza al tutto con le pietre grosse, senza utilizzare il cemento».

Il cemento non lo utilizzi affatto?

«Tendo a farne a meno. In qualche occasione sono costretto a farlo perché il committente vuol farci passare la corrente elettrica. Così, per evitare i crolli e cautelare i tubi, uso il calcestruzzo in tre strati: base, centrale e superiore perché ci metto il cordone finale a forma di “A”, per scaricare il peso al centro del muro e dare solidità a tutta la struttura».

Veniamo ai costi. Per un muretto a secco qual è il costo medio?

«Si parte da 35 euro fino ad arrivare a 90 euro a metro lineare. Dipende dalla richiesta. C’è chi vuole un muretto praticamente liscio, a fuga chiusa: in questo caso, la lavorazione richiede maggiori tempi e maggiori costi. Se uno vuole un muro che sia “uno specchio”, senza fughe, vuol dire che la pietra andrà lavorata nel minimo dettaglio e quindi il prezzo sarà più alto. Se, invece, si preferisce il metodo originale, con il minimo utilizzo del martello sulla pietra grezza locale, il costo scende».

E per le pajare? Se, ad esempio, dovessi rimetterne in piedi una di 50 metri quadri?

«Per una pajara di 50 mq, compresi gli esterni (si calcola così, NdR), occorreranno in media 8mila euro, sempre ricostruendola esattamente come era una volta, ovviamente tutta a secco».

Pajare riportate all’origine tranne che per un particolare: «Nel ricostruirla alzo l’apertura fino a due metri, due metri e 15 centimetri, perché in origine l’ingresso alla pajara era molto basso e quindi scomodo»

Qualche tempo fa Dario Profico ha fatto capolino su Rai 3:

«Erano affascinati dalla nostra storia, anche abitativa. Qualche volta è necessario che arrivino da fuori Salento per ricordarci ciò che abbiamo. Non sarebbe male stessimo più attenti a quelle che sono le nostre tradizioni».

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Approfondimenti

Costruire salentino, come eravamo

Giuseppe Maria Costantini, Conservatore-Restauratore di Beni Culturali: dalle coperture ai soffitti interni, dagli intonaci ai pavimenti interni ed esterni, dalla “suppinna” alla “loggia”: i caratteri tradizionali tipizzanti dell’edilizia salentina

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di Giuseppe Maria Costantini

(Conservatore-Restauratore di Beni Culturali)

Mi si chiede: «Se qualcuno volesse costruire un’abitazione secondo i canoni della tradizione salentina cosa dovrebbe fare? Quali sono gli aspetti più caratteristici e tipizzanti?».

Le abitazioni del Salento sono sempre state alquanto eterogenee in relazione alla condizione socio-economica e culturale dei loro abitanti, così caratterizzando i vari paesi e quartieri urbani, anche vicinissimi tra loro, inoltre, sono molto cambiate nel corso dei secoli, anche in breve tempo quando ce ne fosse un’importante condizionamento esterno.

Basti considerare che nel Salento, almeno fino al sedicesimo secolo, tutte le coperture degli edifici erano costituite da tetti spioventi e tegole in terracotta, come nel resto d’Italia.

Tra l’altro, la copertura esterna a spioventi corrispondeva largamente a soffitti interni in legno, sia lasciati a vista sia nascosti da incannucciate ricoperte da intonaci a stucco, come nel resto d’Italia.

Tale lunghissima “stagione dei tetti” vedeva anche pavimenti interni che, dove non fossero un umile battuto di terra, erano frequentemente in legno, nudo o variamente rifinito, oppure in terracotta, nuda o financo maiolicata; l’impiantito in pietra era destinato in prevalenza agli spazi esterni, o aperti, nonché a rimesse e opifici.

Tornando alla questione posta: come e più del resto d’Italia, nel Salento il consumo del suolo, dal secondo dopoguerra del Novecento a oggi, è stato enormemente maggiore che dalla preistoria allo stesso secondo dopoguerra; pertanto, non si dovrebbe più consumare neppure un metro-quadrato di terreno agricolo o naturale per costruire checchessia.

Ciò detto, innumerevoli edifici dell’ultimo secolo, privi di particolari valenze storiche o artistiche, necessiterebbero di importanti interventi “di costruzione”.

Si tratta di edifici variamente inefficaci in fatto di materiali di cui sono costituiti, di caratteri strutturali-statici, oppure affatto indecenti in termini di funzionalità, e/o di forma e di aspetto.

In altre parole, le tante costruzioni inadeguate e brutte che ci circondano dovrebbero essere radicalmente demolite e, ove necessario, ricostruite in termini idonei, o, se possibile e opportuno, parzialmente manomesse, recuperandone quanto già idoneo e sostituendone quanto inidoneo.

Che siano totali o parziali, è essenziale che tali auspicabili rigenerazioni tengano nella massima considerazione i caratteri tradizionali e tipizzanti del Salento, anzi, in particolare, che siano armoniche al centro abitato, o alla località di campagna, cui appartengono.

Il nostro grande intellettuale e poeta Vittorio Bodini, in Foglie di tabacco (1945-47), tipizza fantasticamente un carattere cardinale delle abitazioni pugliesi e salentine: « le case di calce da cui uscivamo al sole come numeri dalla faccia di un dado».

Tuttavia, neppure l’imbiancatura in bianco vale per ogni località: molti centri abitati, costieri e no, erano caratterizzati da prevalenti imbiancature di calce addizionata a pigmento, fino a ottenerne colori pastello, rosa, ocra gialla, azzurro, turchese, verde, ne era un esempio emblematico Gallipoli.

Perchè spellare le case?

Ne parlo al passato perché negli ultimi decenni è invalsa la deleteria moda di spellare le nostre abitazioni, fino a mostrarne l’orditura muraria in pietra, come si trattasse di un edificio non terminato.

Infatti, restando ai caratteri tradizionali tipizzanti: le abitazioni salentine, dalla più umile al palazzo nobiliare, quando edificate fino a conclusione, all’esterno e all’interno, erano immancabilmente intonacate o, comunque, rifinite con uno strato superficiale, quale rivestimento tradizionale del materiale lapideo costruttivo, con valenze funzionali ed estetiche, e ciò riguardava persino cantine e stalle.

Oltre alle coperture esterne a terrazza, destinate a convogliare le acque piovane nelle cisterne, un altro carattere tipizzante delle nostre abitazioni era la presenza di spazi interni aperti: ortali, giardini, cortili al piano terreno; al piano superiore: terrazze complanari, terrazze soprastanti, spesso dotate di suppinna o attico, nonché verande, balconi e balconcini.

In particolare, le facciate, anche quando di dimensioni contenute, tendevano ad avere uno spazio aperto protetto: portico, loggia, o loggetta a serliana.

Il colore degli infissi

Similmente alle murature, che dovrebbero mostrarsi sempre vestite, anche gli infissi, secondo tradizione, non mostrano mai il loro legno a vista, neppure quando pregiato.

Il colore degli infissi, come quello delle imbiancature tradizionali, era largamente condizionato dalla tradizione della località.

Certamente per le porte e i portoni, o le persiane, il colore più tipizzante era il verde (in infinite tonalità locali, più o meno scure), o, soprattutto per le località costiere, l’azzurro; seguono le tonalità del bruno-grigio.

A ogni modo, lontano dall’avere svolto questo interessante e poliedrico tema, spero di avere stimolato la vostra attenzione e rispetto per la conservazione e il recupero delle nostre tradizioni costruttive e del nostro bel paesaggio.

GIUSEPPE MARIA COSTANTINI

Conservatore-Restauratore di Beni Culturali.

Possiede numerose specializzazioni, tra cui superfici dell’architettura.

Lungamente ricercatore e docente di Restauro per l’Università di Bologna, oltreché per altri prestigiosi enti nazionali.

Su diretto invito del dirigente Arch. Piero Cavalcoli (Urbanista), ha partecipato all’elaborazione del DRAG della Regione Puglia (Schema di Documento Regionale di Assetto Generale).

*Nella foto in alto, Specchia da “I Borghi più belli d’Italia”

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