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Caprarica di Lecce

AGS Caprarica di Lecce: vero volley dal 1996

È questa una storia di sport allo stato puro, in cui dal lavoro di poche persone si è riusciti a raggiungere traguardi più che soddisfacenti. L’AGS Caprarica Volley nasce quindici

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È questa una storia di sport allo stato puro, in cui dal lavoro di poche persone si è riusciti a raggiungere traguardi più che soddisfacenti. L’AGS Caprarica Volley nasce quindici anni fa, come settore giovanile femminile iscritto al Centro Sportivo Italiano, per poi divenire a tutti gli effetti una Società della Federazione Italiana Pallavolo dopo pochissimo tempo. “Mi accorsi da subito che le ragazze erano di un livello superiore a quelle del CSI e capii che si poteva fare davvero pallavolo”, spiega Giuseppe Castrignanò, socio fondatore del Club e allenatore “tuttofare”, nonché ex giocatore ed arbitro di volley. I successi non si fanno attendere: con un gruppo giovanissimo la squadra ottiene la promozione in Prima Divisione (1998), dove staziona per diverse stagioni. Nel biennio 2005-2007 l’AGS compie il salto di qualità: dopo essere ripartita dalla Seconda, con delle giocatrici che ne costituiscono il ”gruppo storico”, la compagine caprarese vince due campionati di fila e stacca il biglietto per la serie D, torneo di caratura regionale. “Avemmo l’idea di iscrivere una seconda squadra al campionato di Seconda, da riservare alle ragazze del settore giovanile in modo da far loro acquisire esperienza; questo pur proseguendo il nostro cammino in D: una scelta che richiedeva un ulteriore impegno, ma che ha dato i suoi frutti”. Infatti, dopo tre stagioni sofferte, quest’anno entrambe le squadre hanno ottenuto risultati a dir poco apprezzabili: la squadra partecipante alla serie D, guidata dal coach De Carlo, è andata ad un passo dal sogno C, alzando bandiera bianca solo ai play-off. Le “cadette” (età media 17 primavere!) si sono invece agevolmente assicurate un posto in Prima Divisione, stravincendo il proprio girone provinciale e perdendo una sola partita. Anche il settore giovanile è ben avviato, se si considera che ogni anno quasi ogni categoria raggiunge le final four nel proprio raggruppamento. In più la Società abbraccia una squadra maschile che milita in Prima Divisione: “A livello maschile non siamo riusciti a creare un settore giovanile solido per via della grande influenza che il calcio ha sui ragazzi e che in qualche modo li allontana dalla pallavolo. È grazie alla grande organizzazione del signor Giuseppe Murciano che si riesce ad avere ancora una discreta squadra a livello provinciale”, aggiunge Castrignanò. “Nella mia pluriennale carriera di allenatore ho avuto la fortuna di guidare sempre gruppi ben collaudati, che ho avuto modo di far crescere io personalmente: pressoché tutta la squadra che è appena approdata in Prima gioca insieme da cinque anni! Non dimenticherò mai tutte le promozioni, in particolar modo quella del 2006, con en plein di vittorie soffertissime e… Marylena, nostra giocatrice e collaboratrice che se n’è andata tragicamente troppo presto”.


Stefano Verri

Attualità

L’agricoltura sociale rafforza le imprese salentine

CIA Salentina: gli esiti del convegno che si è svolto nell’ambito di Agro.Ge.Pa.Ciok. Dalla rigenerazione anti-Xylella all’innovazione del comparto primario salentino per una nuova fase

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L’agricoltura sociale rappresenta un’interessante opportunità di sviluppo per le imprese del settore primario. Da un lato, infatti, si possono diversificare le attività delle aziende agricole e, dall’altro, si possono offrire alle comunità locali servizi e luoghi di inclusione.

Per diffonderne la conoscenza e rimarcarne i vantaggi, Cia-Agricoltori Italiani area Salento ha promosso un convegno sul tema, nell’ambito del Salone internazionale della gelateria, pasticceria, cioccolateria e dell’agroalimentare (Agro.Ge.Pa.Ciok), svoltosi a Lecce.

L’iniziativa, presentata e moderata dal direttore provinciale di Cia Salento Emanuela Longo, ha visto la partecipazione di rappresentanti istituzionali, esperti e tecnici della materia ma anche di imprenditori ed operatori di lungo corso che hanno portato la loro testimonianza.

Per la Provincia di Lecce è intervenuto il consigliere con delega all’Agricoltura e sindaco di Caprarica Paolo Greco che ha sottolineato quanto l’ente sia impegnato sul fronte della rigenerazione delle aree colpite dalla Xylella fastidiosa e della valorizzazione del paesaggio rurale, ma non solo.

Giuseppe Mauro Ferro, dottore agronomo ed esperto di agricoltura Struttura missione Pnrr, ha fatto dei cenni storici sull’evoluzione dell’agricoltura sociale e ne ha narrato gli esordi in Italia, evidenziando le ricadute positive per il territorio.

Il data analyst Davide Stasi ha snocciolato i numeri del settore e ha fornito i principali indicatori per avere un quadro complessivo.

L’agricoltura sociale favorisce l’inserimento socio-lavorativo di persone con disabilità; incentiva le attività sociali e di servizio per le comunità locali; sostiene i servizi che affiancano e supportano le terapie mediche, psicologiche e riabilitative grazie alla coltivazione delle piante e all’allevamento degli animali; promuove progetti finalizzati all’educazione ambientale ed alimentare, alla salvaguardia della biodiversità nonché alla diffusione della conoscenza del territorio.

Su questi aspetti si è soffermato Vito Paradiso, responsabile tecnico del progetto di agricoltura sociale Utilità Marginale di Fondazione Div.ergo onlus, organizzazione non lucrativa di utilità sociale, che ha come scopo la solidarietà e l’assistenza sociale, la formazione a favore di persone con disabilità intellettiva e, comunque, delle fasce deboli della società, favorendo processi di inclusione.

Infine, Roberta Bruno, presidente della società cooperativa agricola Karadrà, ha raccontato l’impegno di volenterosi giovani agricoltori e i sacrifici da tempo portati avanti al fine di promuovere un’agricoltura sana che rispetti l’ambiente e il territorio.

La cooperativa prende in comodato d’uso terreni abbandonati ed incolti per bonificarli e riportarli a produzione con la tecnica dell’aridocultura. Uno dei loro prodotti più rappresentativi è la penda, una qualità di pomodoro giallo d’inverno, coltivato senza rincorrere all’irrigazione.

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Approfondimenti

Costruire salentino, come eravamo

Giuseppe Maria Costantini, Conservatore-Restauratore di Beni Culturali: dalle coperture ai soffitti interni, dagli intonaci ai pavimenti interni ed esterni, dalla “suppinna” alla “loggia”: i caratteri tradizionali tipizzanti dell’edilizia salentina

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di Giuseppe Maria Costantini

(Conservatore-Restauratore di Beni Culturali)

Mi si chiede: «Se qualcuno volesse costruire un’abitazione secondo i canoni della tradizione salentina cosa dovrebbe fare? Quali sono gli aspetti più caratteristici e tipizzanti?».

Le abitazioni del Salento sono sempre state alquanto eterogenee in relazione alla condizione socio-economica e culturale dei loro abitanti, così caratterizzando i vari paesi e quartieri urbani, anche vicinissimi tra loro, inoltre, sono molto cambiate nel corso dei secoli, anche in breve tempo quando ce ne fosse un’importante condizionamento esterno.

Basti considerare che nel Salento, almeno fino al sedicesimo secolo, tutte le coperture degli edifici erano costituite da tetti spioventi e tegole in terracotta, come nel resto d’Italia.

Tra l’altro, la copertura esterna a spioventi corrispondeva largamente a soffitti interni in legno, sia lasciati a vista sia nascosti da incannucciate ricoperte da intonaci a stucco, come nel resto d’Italia.

Tale lunghissima “stagione dei tetti” vedeva anche pavimenti interni che, dove non fossero un umile battuto di terra, erano frequentemente in legno, nudo o variamente rifinito, oppure in terracotta, nuda o financo maiolicata; l’impiantito in pietra era destinato in prevalenza agli spazi esterni, o aperti, nonché a rimesse e opifici.

Tornando alla questione posta: come e più del resto d’Italia, nel Salento il consumo del suolo, dal secondo dopoguerra del Novecento a oggi, è stato enormemente maggiore che dalla preistoria allo stesso secondo dopoguerra; pertanto, non si dovrebbe più consumare neppure un metro-quadrato di terreno agricolo o naturale per costruire checchessia.

Ciò detto, innumerevoli edifici dell’ultimo secolo, privi di particolari valenze storiche o artistiche, necessiterebbero di importanti interventi “di costruzione”.

Si tratta di edifici variamente inefficaci in fatto di materiali di cui sono costituiti, di caratteri strutturali-statici, oppure affatto indecenti in termini di funzionalità, e/o di forma e di aspetto.

In altre parole, le tante costruzioni inadeguate e brutte che ci circondano dovrebbero essere radicalmente demolite e, ove necessario, ricostruite in termini idonei, o, se possibile e opportuno, parzialmente manomesse, recuperandone quanto già idoneo e sostituendone quanto inidoneo.

Che siano totali o parziali, è essenziale che tali auspicabili rigenerazioni tengano nella massima considerazione i caratteri tradizionali e tipizzanti del Salento, anzi, in particolare, che siano armoniche al centro abitato, o alla località di campagna, cui appartengono.

Il nostro grande intellettuale e poeta Vittorio Bodini, in Foglie di tabacco (1945-47), tipizza fantasticamente un carattere cardinale delle abitazioni pugliesi e salentine: « le case di calce da cui uscivamo al sole come numeri dalla faccia di un dado».

Tuttavia, neppure l’imbiancatura in bianco vale per ogni località: molti centri abitati, costieri e no, erano caratterizzati da prevalenti imbiancature di calce addizionata a pigmento, fino a ottenerne colori pastello, rosa, ocra gialla, azzurro, turchese, verde, ne era un esempio emblematico Gallipoli.

Perchè spellare le case?

Ne parlo al passato perché negli ultimi decenni è invalsa la deleteria moda di spellare le nostre abitazioni, fino a mostrarne l’orditura muraria in pietra, come si trattasse di un edificio non terminato.

Infatti, restando ai caratteri tradizionali tipizzanti: le abitazioni salentine, dalla più umile al palazzo nobiliare, quando edificate fino a conclusione, all’esterno e all’interno, erano immancabilmente intonacate o, comunque, rifinite con uno strato superficiale, quale rivestimento tradizionale del materiale lapideo costruttivo, con valenze funzionali ed estetiche, e ciò riguardava persino cantine e stalle.

Oltre alle coperture esterne a terrazza, destinate a convogliare le acque piovane nelle cisterne, un altro carattere tipizzante delle nostre abitazioni era la presenza di spazi interni aperti: ortali, giardini, cortili al piano terreno; al piano superiore: terrazze complanari, terrazze soprastanti, spesso dotate di suppinna o attico, nonché verande, balconi e balconcini.

In particolare, le facciate, anche quando di dimensioni contenute, tendevano ad avere uno spazio aperto protetto: portico, loggia, o loggetta a serliana.

Il colore degli infissi

Similmente alle murature, che dovrebbero mostrarsi sempre vestite, anche gli infissi, secondo tradizione, non mostrano mai il loro legno a vista, neppure quando pregiato.

Il colore degli infissi, come quello delle imbiancature tradizionali, era largamente condizionato dalla tradizione della località.

Certamente per le porte e i portoni, o le persiane, il colore più tipizzante era il verde (in infinite tonalità locali, più o meno scure), o, soprattutto per le località costiere, l’azzurro; seguono le tonalità del bruno-grigio.

A ogni modo, lontano dall’avere svolto questo interessante e poliedrico tema, spero di avere stimolato la vostra attenzione e rispetto per la conservazione e il recupero delle nostre tradizioni costruttive e del nostro bel paesaggio.

GIUSEPPE MARIA COSTANTINI

Conservatore-Restauratore di Beni Culturali.

Possiede numerose specializzazioni, tra cui superfici dell’architettura.

Lungamente ricercatore e docente di Restauro per l’Università di Bologna, oltreché per altri prestigiosi enti nazionali.

Su diretto invito del dirigente Arch. Piero Cavalcoli (Urbanista), ha partecipato all’elaborazione del DRAG della Regione Puglia (Schema di Documento Regionale di Assetto Generale).

*Nella foto in alto, Specchia da “I Borghi più belli d’Italia”

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Attualità

“La Gabbia”: film made in Salento, iniziate le riprese

Il nuovo lungometraggio dele leccesi Agnese Perrone e Annaelena Rispoli. Si gira tra Lecce, Frigole, Squinzano, Caprarica e San Donato

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Il Salento si conferma terra di cinema e stavolta lo fa attraverso il talento di due donne e un cast tutto salentino, per raccontare le maglie strette della società in cui spesso a rimanere intrappolati sono i più fragili.

Il film è promosso da Frida aps. La pellicola nasce da un’idea delle leccesi Agnese Perrone e Annaelena Rispoli, entrambe produttrici del film, la regia e la sceneggiatura sono di Annaelena Rispoli.

Ne “La Gabbia” la bellezza degli scenari si mescola a storie forti, la Rispoli infatti sin dal suo esordio ha puntato a temi sociali di spessore.

Le riprese sono in corso di svolgimento tra Lecce (quartiere San Pio), Frigole, Squinzano, Caprarica di Lecce e San Donato di Lecce.

Quella raccontata è una storia ambientata nel 1978 quando un gruppo di giovani borghesi decide di documentare il degrado delle periferie addentrandosi in vecchi e pericolosi quartieri, mentre delle studentesse si riuniscono a casa di una professoressa, Camilla per degli incontri culturali. Da queste premesse si dipanano le storie dei personaggi caratterizzati da una forte nota introspettiva che fanno luce su aspetti e interrogativi da cui lo spettatore non può esimersi. Possiamo percepire le scelte messe sul tavolo dei protagonisti come la rappresentazione delle reazioni che si possono avere a un evento traumatico.

«Il messaggio che si intende veicolare con questo lungometraggio», sottolinea Agnese Perrone, «è che spesso la società ci impone e ci relega in una vita che in realtà non abbiamo scelto, o che non amiamo. Proprio quelle scelte sbagliate portano le persone ad essere infelici, a sentirsi in gabbia. Da qui l’invito a uscire dalle periferie della psiche in cui ci troviamo, per ricostruire le nostre esistenze. Ma i temi trattati coinvolgono anche la parità genere, le diversità, le conquiste sociali, che rappresentano un percorso sempre pieno di punti ciechi».

Il cast è volutamente tutto salentino: Marianna Compagnone, Denise Cimino, Simone Miglietta, Stefano Mazzotta.

Intorno a questo quattro personaggi ruotano altri nomi di attori già noti sul territorio come Nik Manzi, Debora Sanapo, Beppe Fusillo, Vanessa Pereo, la stessa Perrone.

“La Gabbia” è l’ennesima conferma di come l’arte e la cultura italiana e salentina in particolare, abbiano ancora tanto da offrire.

Annaelena Rispoli e Agnese Perrone

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